di P. Stefano Conotter ocd
Il grande pittore olandese Rembrandt van Rijn (1606-1669) non fu solo un genio indiscusso dell’arte europea, ma anche un uomo di grandissimo spessore spirituale, nonostante abbia avuto un'esistenza assai tormentata. Un paio di anni fa ho visto sul giornale Avvenire un suo quadro che non conoscevo intitolato La santa famiglia con angeli. Il dipinto, che porta la data 1645, è conservato al museo de l’Ermitage a San Pietroburgo.
La scena è ambientata nella bottega di Giuseppe, rappresentato in secondo piano mentre sta intagliando un giogo. L’ambientazione è molto realistica, con gli oggetti della vita quotidiana come gli attrezzi di Giuseppe appesi alla parete o il fuoco del camino con lo scaldapiedi su cui Maria appoggia la gamba sinistra.
Guardando il quadro colpisce subito il fatto che il cielo irrompe in questo ambiente di vita ordinaria, come se il soffitto avesse un passaggio che introduce un’altra dimensione, da cui provengono creature angeliche. La luce che proviene da questa apertura illumina la scena che risalta in primo piano. In una culla di vimini il bambino dorme in un sonno profondo. Maria sta leggendo la Sacra Scrittura, forse ha indugiato a meditare sulla profezia dell’Emmanuele (Is 7,14), per ponderare ancora una volta le parole dell’angelo Gabriele: “Sarà grande e sarà chiamato figlio dell’Altissimo… e il suo regno non avrà mai fine”. Ad un certo punto Maria interrompe la lettura, si china verso la culla, solleva un po’ la coltre che ripara dalla luce il volto del piccolo dormiente, come se cercasse di svelare il mistero della sua identità. Maria sembra chiedersi con stupore: “Ma sarà proprio questo bambino, questo mio bambino quello di cui scriveva il grande Isaia? Proprio di lui parlava l’angelo?”
Giuseppe, dicevamo, è in secondo piano, quasi in ombra: è “l’ombra del Padre” come dice Dobraczynski, nel suo omonimo romanzo. Il carpentiere di Nazaret sta lavorando a un giogo, elemento atipico nell'iconografia del santo. Il giogo nella mentalità biblica richiama l’obbedienza alla legge, a cui il Figlio di Dio è venuto a sottomettersi per liberarci dalla servitù del peccato: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5)
Dall’angolo di sinistra in alto gli angeli scendono dal cielo sopra il bambino. Con la loro postura rivelano il destino e il mistero del neonato. Un angelo sta sopra Gesù con le braccia distese, come per un gesto di protezione, ma anche per far intravvedere il mistero della croce. Un altro sembra irrompere nella stanza con il braccio sinistro alzato in segno di vittoria, mentre tiene nella destra una corona fiorita, che annuncia il trionfo della risurrezione di Gesù. Ma il genio di Rembrandt ha rappresentato un altro angelo in una posizione alquanto insolita. Di lui si vede solo la nuca e parte del dorso alato. È proprio lui tuttavia che svela la vera identità del bambino: l’angelo è rivolto verso la sorgente della luce e contempla il volto del Padre. Possiamo dire che visualizza le prime parole del vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era rivolto verso Dio” (Gv 1,1).
Ma perché quell’angelo rivolto verso il Padre ha la testa rasata? Forse perché Rembrandt voleva rappresentarlo come un neonato o addirittura un feto che sta per nascere? Non bisogna dimenticare che quando dipingeva questo quadro Rembrandt aveva già perso tre figli in tenerissima età. Forse pensando a quello che Gesù diceva dei piccoli, e cioè che “i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10) avrà voluto ricordare i suoi figli.
C’è però un altro quadro di Rembrandt, conservato anch’esso al museo dell’Ermitage: Il ritorno del figlio prodigo. Qui è rappresentato un figlio con il capo rasato, con il volto rivolto verso il seno del padre. Le due opere sono state dipinte a più di 25 anni di distanza, quindi non si può essere sicuri che l’intenzione dell’autore fosse di creare un legame fra le due. Certo che la somiglianza colpisce e non è raro che un dipinto contenga una “citazione” di un’altra opera, come la mano di Adamo della creazione di Michelangelo ripresa da Caravaggio nella chiamata di Matteo da parte di Gesù.
È bello tuttavia pensare che nel primo quadro Rembrandt ha rappresentato l’angelo rivolto al Padre per significare che Gesù è il Figlio amato che trova la sua identità nel contemplare sempre il volto del Padre; e che nel secondo quadro rappresenta il padre diventato cieco perché ha consumato la vista a forza di scrutare l’orizzonte nell’attesa dell’uomo che ha negato il suo essere figlio per poter essere libero. Ecco allora come Rembrandt ci suggerisce di cogliere il significato del mistero che ci prepariamo a celebrare: il Figlio diletto nasce come uomo per far rinascere l’uomo come figlio diletto nel seno del Padre… come in cielo così in terra!