di P. Giacomo Gubert ocd
Edith Stein concluse il suo articolo “Una maestra del lavoro educativo e formativo: Teresa di Gesù”, ora ripubblicato nel XVI volume delle Opere Complete (“Formazione e sviluppo dell’individualità”, Edizioni OCD, Roma, 2017), con questa considerazione: “La meravigliosa attività di formazione della nostra Santa Madre non è finita con la sua morte. La sua influenza travalica i confini del suo popolo e del suo Ordine, non rimane certamente limitata alla Chiesa ma si propaga anche a coloro che ne stanno fuori. La forza della sua parola, la veridicità e la naturalezza della sua esposizione aprono i cuori portandovi la vita di Dio. Il numero di coloro che le sono debitori della vita che conduce alla luce sarà rivelato solo nell’ultimo giorno” (i curatori si sono premurati di aggiungere la seguente nota a queste parole molto belle e vere: “È lecito supporre che Edith Stein pensi anche a se stessa e al ruolo che santa Teresa ebbe nel suo cammino di conversione”).
Ma un’altra importante carmelitana, molto meno nota, che si può annoverare fra tali debitori è la venerabile Chiara Maria della Passione (al secolo donna Vittoria Colonna, 1610-1675), carmelitana scalza nel monastero di Sant’Egidio a Trastevere e poi fondatrice del poco distante monastero di Regina Coeli.
Racconta Fabrizio Nurra, autore di una biografia della Venerabile (Chiara Maria della Passione, carmelitana scalza, Edizioni OCD, Roma, 2012): “Vittoria ha lasciato i romanzi cavallereschi, che tanto avevano acceso la sua fantasia di bambini, e si è cominciata a volgere a quelle che sono considerate, nello spirito del tempo, le letture edificanti per giovani educante, quali le vita delle sante martiri che, accanto alle opere d’Agostino e di Gregorio Magno e all’Imitazione di Cristo, hanno larga diffusione in ogni monastero. Sarà però un altro incontro a colpirla così profondamente da indurla a dedicarsi totalmente a Dio. È lei stessa, tornata a Roma dal padre, a spiegarlo un giorno: l’aver letto la vita di Teresa (d’Avila) aveva acceso in lei il desiderio e l’amore delle cose eterne e il disprezzo delle cose caduche e il desiderio di dedicarsi a Dio nel Monastero di riforma penitenza e osservanza”.
Come per Edith, anche per Vittoria fu il Libro della Vita la lettura decisiva. La giovane principessa Colonna vi si poté accostare a Napoli, nel Monastero agostiniano di San Giuseppe dei Ruffi. Forse fu lo stesso confessore, l’oratoriano Bernardino Scaranza, “a proporle la lettura di questo testo che circolava abitualmente nell’ambiente filippino”, scrive Nurra.
Teresa, canonizzata da pochi anni, nel 1622, apre il cuore della giovane Vittoria e vi porta la vita divina. Ella racconterà al suo confessore:
“Viddi chiaramente il mio cuore, che mi pareva assai grande, e aperto, e dentro di esso mi parve di vedere Christo nostro Signore di sì smisurata maestà, e bellezza, che non so dirla … spiccatamente vedevo un abisso di luce, che rendeva tutto quel cuore pieno di splendore e d’un candore risplendente. Era il suo Divino volto di così eccelsa bellezza e Maestà che mai gli occhi miei hanno visto volto di creature nessuna, né immagine dipinta, che li sia parsa bella; era la sua carne gloriosa, e tanto differente da quella che vedo cogl’occhi quanto è differente un pezzo di fango, comparato ad una candidissima nube, investita e penetrata dal sole. La Maestà, splendore e bellezza fu eccessiva, e in vederlo in atto di dormire, mi dava ad intendere, come una cosa tranquilla di pace, e io sentivo una gran quiete all’interno, e ancor esternamente stavo come dormendo con sensibil quiete: io restai con gran voglia di darmi all’oratione” (op. cit., p. 85).
Questa “gran voglia” la condurrà ad entrare, cinque anni dopo il primo incontro con Teresa Maestra, nel monastero trasteverino di Sant’Egidio, vincendo l’opposizione del padre Filippo e di tutta la famiglia Colonna che la voleva sposata con Luigi Guglielmo Moncada Aragona e la Cerda, duca di Montalto, principe di Paternò, conte di Caltanissetta, di Collesano e di Adernò, ecc.. Inizio di un cammino carmelitano di grande fecondità spirituale, che merita di essere conosciuto.
Conclude Fabrizio Nurra la biografia di questa discepola di santa Teresa d’Avila con questa sintetica nota: “Alla sua morte, avvenuta nel 1675, mentre la città è invasa dai cortei fastosi delle confraternite accorsa a Roma per il Giubileo, si diffonde la voce di una possibile nomina ad Apostola di Roma. È il segno di come, mettendo bene in pratica la raccomandazione della santa d’Avila di non disgiungere mai Marta e Maria, sia riuscita ad operare una felice sintesi tra vita contemplativa e vita attiva. Grazie alla sua originale testimonianza tante donne, anche al di fuori dei monasteri, cominceranno a vivere un nuovo protagonismo, nella ricerca di una vita cristiana più evangelica” (cfr. op. cit., p. 211s.).