La celebrazione delle Ore canoniche nella Regola del Carmelo
di F. Marco Sgroi ocd
1. Al cuore della Regola: «die ac nocte in lege Domini meditantes»
«A meno che non sia occupato in altre legittime attività, [maneant singuli] ciascuno rimanga nella sua celletta o accanto ad essa, [die ac nocte in lege Domini meditantes] meditando giorno e notte la legge del Signore [cfr Sal 1, 2; Gs 1, 8] e vegliando in preghiera [cfr 1 Pt 4, 7]»1.
Il cuore della Regola carmelitana trova il suo battito vitale e originario in questo breve passaggio, in questa “legge di vita” e in questa “forma”. Infatti, è nell’incontro solitario con il Dio trascendente e ineffabile, rivelato nella parola della Scrittura e nella parola della carne, e nel «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12), percepibile nella solitudine del monte, che il singolo («maneant singuli») può scoprire la sua vera vocazione ed essere ri-velato a se stesso2.
La preghiera continua vissuta nella riservatezza della cella diviene, così, la via ad caelum, certamente individuale, ma che porta con sé l’intera dimensione ecclesiale. Proprio per questo, è possibile parlare di una “struttura personale-ecclesiale”3 in cui sia l’individuale che l’ecclesiale si sposano vicendevolmente e si legano intrinsecamente; e nella ricerca dell’isolamento, che mira all’orazione contemplativa, la preghiera si innalza nel/dal silenzio della cella della chiesa e diviene música callada, soledad sonora4. In questo modo, la vita intera si trasforma in preghiera e, nell’“essere” per/con/in Cristo, quest’ultima diventa il respiro della vita quotidiana.
Ora, questa vita è segnata da tempi e momenti ben precisi e per questo motivo – sempre tenendo sullo sfondo il precetto «die ac nocte in lege Domini meditantes» – è necessario focalizzare l’attenzione su quel ritmo regolare, scandito dai battiti del tempo, che offre l’opportunità concreta di “attuare” il nostro rapporto di amicizia con l’Amore, nonché di offrire le singole ore del giorno interamente al Signore, alla sua lode e alla sua gloria.
Infatti, se è vero che «la Liturgia delle Ore ha origine nell’ideale spirituale che ci è proposto dal Nuovo Testamento: la preghiera incessante»5 indicata e attuata da Gesù, allora, sarà necessario che proprio la preghiera delle Ore sgorghi principalmente da questa relazione di intimità con Gesù, che nello Spirito ci conduce all’abbraccio del Padre; ed in questa preghiera incessante, anche, la Regola carmelitana pone il fondamento per la recita delle Ore canoniche.
Articolo tratto da Rivista di Vita Spirituale (anno 70, nn. 1-2).
Note
[1] ALBERTO DI GERUSALEMME, Regola “Primitiva” dell’Ordine della B. Vergine Maria del Monte Carmelo data da S. Alberto, Patriarca di Gerusalemme, corretta, emendata e confermata da Innocenzo IV, Reg. VIII, in Regola, Costituzioni, Norme applicative dei Fratelli Scalzi dell’Ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, Edizioni OCD, Roma 1983, pp. 13-19 (qui p. 15). Qui non verrà presa in considerazione la Regola nella sua interezza, né la sua struttura con i vari dibattiti. Basti ricordare che essa fu consegnata tra il 1206 e il 1214 da Alberto degli Avogadro, Patriarca di Gerusalemme, come una semplice “norma di vita” agli eremiti del Monte Carmelo. La Regola, successivamente, fu approvata – con qualche piccola modifica – nel 1247 da Innocenzo IV con la Bolla pontificia Quae honorem Conditoris.
[2] Ed è proprio Cristo, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, che «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22; EV 1, 1385). È impossibile, infatti, per un cristiano – a fortiori per un frate carmelitano – accostarsi alla Scrittura e meditarne giorno e notte la legge, senza tenere fisso lo sguardo su Cristo. Un principio ermeneutico che possa fungere da chiave di volta di questo breve passaggio della Regola carmelitana, illuminandola, a sua volta, e svelandone anche il senso pieno, sembra rintracciabile nella famosa definizione di orazione che la mater spiritualium consegna alla Chiesa: «l’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati [tratar de amistad estando muchas veces tratando a solas con quien sabemos nos ama]» [TERESA D’AVILA, Vita di S. Teresa di Gesù scritta da lei stessa, V 8,5, in TERESA DI GESÙ, Opere, Edizioni OCD, Roma 200912, pp. 33-346 (qui p. 95)]. Meditare giorno e notte la legge del Signore, allora, sarà la risposta a questo invito-relazione di Colui che ci ama. Così commenta il padre Álvarez: «il “tratto” nel linguaggio di Teresa, indica il rapporto, ossia l’atto interpersonale con il quale un uomo si vincola a un altro. Non si tratta del legame statico, ma dell’attuazione di questo legame. Più che un rapporto è un rapportarsi, un “tenersi in rapporto”, un andare attuando l’amicizia stessa. Questo concetto è fortissimo, perché è il risultato di un’accanita lotta interiore che la Santa ha dovuto sostenere. Il rapportarsi esige la presenza dell’una e dell’altra persona. Soltanto con la presenza scatterà la “comunicazione”» (T. ÁLVAREZ, Gli occhi fissi su Cristo. L’orazione di S. Teresa d’Avila, Edizioni OCD, Roma 20135, p. 38).
[3] Con “struttura personale-ecclesiale” si vuole mettere in evidenza lo stretto legame che sussiste tra il singolo credente e l’intero corpo mistico di Cristo. Esso è formato dall’unione dei singoli, che di per sé si strutturano, già, come Chiesa di Cristo: nel cuore di ogni credente, infatti, si costruisce l’edificio dell’intera chiesa ed è proprio nella relazione silenziosa di amore con il Crocifisso risorto, che il cuore del singolo è chiamato ad ospitare, personalmente – nella sua intimità –, l’intera ἐκκλησία.
[4] Crf. GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico Spirituale B, C 15, in Idem, Opere, Edizioni OCD, Roma 2009, pp. 488-723 (qui p. 496).
[5] A.G. MARTIMORT, La preghiera delle Ore, in Idem (ed.), La Chiesa in preghiera. Introduzione alla Liturgia. IV. La Liturgia e il tempo, Queriniana, 20104, pp. 179-309 (qui p. 187). Sempre alla medesima pagina, Martimort continua facendo, giustamente, osservare come la Liturgia delle Ore «cerca di realizzare questo ideale con il ritmo delle ore di preghiera destinate a scandire la giornata, ritmo che le correnti spirituali dei primi secoli hanno sviluppato a partire dall’uso ebraico, ma soprattutto secondo l’esempio dello stesso Gesù e della comunità apostolica».