di F. Alessandro Futia ocd
“L’orazione non è che un fatto del cuore” (V 7,12). Vorremmo iniziare così, prendendo a prestito questa affermazione della nostra Santa Madre, Teresa di Gesù, per introdurre la breve riflessione che proponiamo su due omelie e un intervento di Papa Francesco, in cui l’eco delle parole di Santa Teresa d’Avila, com’è maggiormente conosciuta, e quella delle parole di Santa Teresa di Lisieux, hanno risuonato negli ultimi mesi.
Queste due donne, di epoche e nazioni differenti, hanno in comune una radice spirituale che affonda nella Terra Santa del Carmelo, dove “i nostri Padri, quei santi eremiti d’altri tempi, di cui pretendiamo imitare la vita” (CP 11,4), furono riuniti dallo Spirito di Dio per un’esperienza di vita eremitica comune di cui non esiste fondatore, se non la Sapienza stessa, che “prepara amici di Dio e profeti passando nelle anime sante” (cfr Sap 7,27).
Andiamo con ordine. Qualche giorno fa, il 24 ottobre scorso, in un’omelia mattutina tenuta alla casa S. Marta, Papa Francesco ha commentato la Lettera di S. Paolo ai Romani (5,12.15.17-19.20-21) prima lettura della Liturgia del giorno, sottolineando che “entrare nel Mistero di Gesù Cristo è di più, è lasciarsi andare in quell’abisso di Misericordia, dove non ci sono parole, soltanto l’abbraccio dell’Amore, un amore che lo portò alla morte per noi”.
Questo “di più”, di cui ha parlato il Papa, sta al di là dell’automatismo del “fare”, osservare precetti; in altre parole, oltre l’abitudine del cristiano già osservante: andare a Messa, ascoltare la Parola, confessarsi! Tutte azioni sante in se stesse, ma che non attestano ancora che si sia incontrato Gesù Cristo, né che lo si confessi come Salvatore della propria vita. Ricordiamo la domanda del dottore della legge a Gesù, nel Vangelo di Luca: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” (Lc 10,25). Sembrano affermazioni scandalose, ma i richiami alla vera pietà a cui Gesù stesso, nel Vangelo, invita a più riprese i farisei e gli scribi sul loro modo di interpretare la Legge, di vivere il rapporto con Dio, hanno questo “sapore”.
Anche la Confessione sacramentale, secondo il Papa, va vissuta come strumento per entrare nella gratuità del perdono di Dio: “Quando noi andiamo a confessarci perché abbiamo peccati, andiamo, diciamo i peccati al confessore e siamo tranquilli e contenti… se facciamo così, non siamo entrati nel mistero di Gesù Cristo”. Poi il Papa ha suggerito uno strumento per poter entrare in relazione con Gesù, col cuore, prima che con la mente, ed è la meditazione-preghiera della Via Crucis.
“È bello fare la Via Crucis. Farlo a casa, pensando ai momenti della Passione del Signore. Anche i grandi Santi consigliavano sempre di incominciare la vita spirituale con questo incontro con il mistero di Gesù Crocifisso. Santa Teresa consigliava alle sue monache: per arrivare alla preghiera di contemplazione, l’alta preghiera che lei aveva, incominciare con la meditazione della Passione del Signore. La Croce con Cristo. Cristo nella Croce. Incominciare e pensare. E così, cercare di capire con il cuore che “amò me e diede se stesso per me”, “diede se stesso alla morte per me”.
Un esempio che il Santo Padre attinge dal racconto di Santa Teresa d’Avila nella “Vita”, sulla sua provata esperienza di preghiera, in cui la santa Madre consiglia spesso di iniziare questo cammino di orazione mentale soffermandosi a raffigurarsi interiormente Gesù in uno dei vari momenti della sua Passione dolorosa (V 10,2.13,12. 23,16-17).
“Questo è il metodo di orazione con cui tutti devono cominciare, proseguire e finire, non essendovi altra via più eccellente e sicura, fino a che il Signore non ci elevi a cose soprannaturali” (V 13,12).
Il 26 Settembre scorso, sempre durante la celebrazione dell’Eucarestia a casa S. Marta, il Santo Padre si è concentrato sulla dimensione della “familiarità” che emerge dall’affermazione di Gesù nel Vangelo del giorno (Lc 8,19-21). Prendendo le mosse dal brano evangelico, in cui Gesù dichiara suoi familiari “coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” - questa la condizione autentica per essere suoi veri congiunti - il Papa ha descritto questa dimensione come uno “stare con Lui, guardarlo, ascoltare la sua Parola, cercare di praticarla, parlare con Lui”, per essere “figli liberi che abitano nella sua casa”. La porta per entrare in stato di profonda unione con Lui è dunque la preghiera, quella preghiera “che si fa anche per strada”.
“Quel cristiano, con i problemi, che va nel bus, nel metro e interiormente parla col Signore o almeno sa che il Signore lo guarda, gli è vicino: questa è la familiarità, è vicinanza, è sentirsi della famiglia di Gesù”.
Anche in questo caso Papa Francesco ha proposto la nostra Santa Madre come modello di relazione familiare col Signore, la quale nel libro delle Fondazioni scrive: “Coraggio figliole mie! Non affliggetevi se l’obbedienza v’impiegherà in opere esteriori! Vi mettesse pure in cucina, il Signore verrebbe ad aiutarvi, interiormente ed esteriormente, anche là fra le pentole: siatene persuase” (F 5,8).
Nei paragrafi precedenti, S. Teresa tratta dei diversi cammini per i quali Dio chiama un’anima all’unione con Lui. Ad alcune, e qui ognuno può immedesimarvisi, le attività della vita quotidiana non permettono di avere neanche un momento per sé, e quindi di poter dire: “questo tempo è formalmente consacrato alla preghiera”. Niente paura, dice Teresa, perché a queste anime, l’obbedienza ai propri superiori, tanto cara al Signore, oppure ai propri doveri, riesce ad ottenere la libertà di spirito “nella quale si gode tutta la felicità che è possibile ottenere in questa vita” (F 5,7). Purché, anche in mezzo alle pentole, si volga lo sguardo a “Colui da cui sappiamo di essere amati” (V 8,5).
Infine, riportiamo le parole profetiche del nostro terzo Dottore della Chiesa, Teresa di Gesù Bambino, riferite dalla voce del Santo Padre al Discorso introduttivo che ha tenuto all’apertura dei lavori della LXX Assemblea Generale della CEI, il 22 maggio di quest’anno:
“Cari fratelli, “posti a pascere la Chiesa di Dio” (At 20,28), partecipi della missione del Buon Pastore: ai vostri occhi nessuno resti invisibile o marginale. Andate incontro a ogni persona con la premura e la compassione del Padre misericordioso, con animo forte e generoso. Siate attenti a percepire come vostro il bene e il male dell’altro, capaci di offrire con gratuità e tenerezza la stessa vita. Sia questa la vostra vocazione; perché, come scrive Santa Teresa di Gesù Bambino, “solo l’Amore fa agire le membra della Chiesa: se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue…(MB 3v°)”. Ora, immaginiamo di poter tradurre le parole di Teresina in suoni del mondo della natura. In mezzo a miriadi di altri rumori, quali quello di un vento impetuoso o il boato di un terremoto o la devastazione crepitante prodotta dal fuoco, le sue parole avrebbero la leggerezza di un sussurro (cfr 1Re 19,11-12) che si fa strada decisamente, senza preoccuparsi della potenza e della grandezza degli altri suoni. In mezzo a boria urlante e pessimismo petulante, tra sfilze di cattivi esempi, procede determinato il sussurro della Sapienza che cerca ancora amici tra i figli degli uomini (cfr Pr 8,31), per insegnare qual è la via che porta alla conoscenza della Verità e costituire tali amici quali testimoni della Verità (cfr Gv 16,13-14; 17,17-19). Questo nostro tempo ha bisogno della sua purezza e pace, mitezza e arrendevolezza (Gc 3,17). Per poter accogliere l’invito amorevole della Sapienza, “Chi è inesperto venga qui!” (Pr 9,4), facciamo diventare vita la sollecitazione che ci rivolge la Santa di Avila: “Chi ancora non si è messo sul cammino dell'orazione, lo supplico, per amore del Signore, di non restare lontano da un bene tanto grande” (V 8,5).