Oggi 24 agosto ricorre l'anniversario del conferimento del titolo di Dottore della Chiesa al Santo Padre Giovanni della Croce, da parte di Pio XI il 24 agosto 1926. Per commemorare questa ricorrenza pubblichiamo una stupenda omelia di un altro Papa che lo stimò immensamente, S. Giovanni Paolo II, tenuta a Segovia in occasione del viaggio apostolico in Spagna del 1982.
1. “Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore di esse . . . se sono colpiti dalla loro potenza e attività, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati . . .; se, stupiti per la loro bellezza . . . pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza” (Sap 13, 5.4.3).
Abbiamo proclamato queste parole del libro della Sapienza, cari fratelli e sorelle, nel corso di questa celebrazione in onore di san Giovanni della Croce, accanto al suo sepolcro. Il libro della Sapienza ci parla della conoscenza di Dio per mezzo delle creature; della conoscenza dei beni visibili che rivelano il loro Artefice; della notizia che porta fino al Creatore partendo delle sue opere.
Potremmo benissimo mettere queste parole sulle labbra di Giovanni della Croce e comprendere il senso profondo che ad esse ha voluto dare l’autore sacro. Sono parole di un saggio e di un poeta che ha conosciuto, amato e cantato la bellezza delle opere di Dio; ma soprattutto, parole di un teologo e di un mistico che ha conosciuto il suo Autore; e che attinge con incredibile radicalità alla fonte della bontà e della bellezza, addolorato per lo spettacolo del peccato che rompe l’originario equilibrio, offusca la ragione, paralizza la volontà, impedisce la contemplazione e l’amore verso l’Autore della creazione.
2. Rendo grazie alla Provvidenza che mi ha concesso di venire a venerare le reliquie e ad evocare la figura e la dottrina di san Giovanni della Croce, al quale debbo tanto nella mia formazione spirituale. Ho imparato a conoscerlo sin dalla mia giovinezza e sono entrato in un dialogo intimo con questo maestro della fede, con il suo linguaggio e il suo pensiero, fino a culminare con l’elaborazione della mia tesi di dottorato su “La fede in san Giovanni della Croce”. Fin d’allora ho trovato in lui un amico e maestro, che mi ha indicato la luce che brilla nell’oscurità, per camminare sempre verso Dio, “senza altra luce né guida / che quella che nel cuore ardeva / Codesta mi guidava / più certo che la luce del meriggio” (S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, 3-4).
In questa occasione saluto cordialmente i membri della provincia e diocesi di Segovia, il loro Pastore, i sacerdoti e i religiosi e religiose, le autorità e tutto il popolo di Dio che vive qui, sotto il cielo limpido della Castilla, così come coloro che sono venuti dai dintorni e dalle altre parti della Spagna.
3. Il santo di Fontiveros è il grande “maestro dei sentieri che conducono all’unione con Dio”. I suoi scritti continuano ad essere attuali e in certo qual modo spiegano e complementano i libri di santa Teresa di Gesù. Egli indica le vie della conoscenza mediante la fede, perché soltanto tale conoscenza nella fede dispone l’intelletto “all’unione col Dio vivente”.
Quante volte, con una convinzione che sgorga dall’esperienza ci dice che la fede è il mezzo proprio e adatto per l’unione con Dio!
È sufficiente citare un celebre testo del secondo libro della Salita al Monte Carmelo: “La fede è essa sola il mezzo più vicino e proporzionato perché l’anima si unisca a Dio . . . perché così come Dio è infinito, essa ce lo propone infinito; e così come Egli è Trino e Uno, ce lo propone Trino e Uno . . . e così per questo solo mezzo, si manifesta Dio all’anima in divina luce, che eccede ogni intendimento. E perciò quanta più fede ha l’anima in Dio, tanto più unita è a Lui” (S. Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, II, 9, 1)
Con questa insistenza sulla purezza della fede, Giovanni della Croce non vuol negare che la conoscenza di Dio si possa raggiungere gradualmente partendo dalle creature, come insegna il libro della Sapienza e ripete san Paolo nella Lettera ai Romani (cf. Rm 1, 18-21; cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 4, 1). Il dottore mistico insegna che nella fede è anche necessario privarsi delle creature, sia di quelle che si percepiscono per mezzo dei sensi che di quelle che si raggiungono con l’intelletto, per unirsi in una maniera conoscitiva con lo stesso Dio. Questa via che conduce all’unione, passa attraverso la “notte oscura” della fede.
4. L’atto di fede si concentra, secondo il santo, in Gesù Cristo, il quale, come ha affermato il Vaticano II, “è contemporaneamente il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione” (Dei Verbum, 2). Tutti conoscono la meravigliosa pagina del dottore mistico su Cristo come Parola definitiva del Padre e totalità della rivelazione, in quel dialogo tra Dio e gli uomini: “Egli è tutto il mio parlare e la mia risposta, Egli è tutta la mia visione e la mia rivelazione. In Lui vi ho già parlato, risposto, manifestato e rivelato, donandolo a voi come fratello, compagno e maestro, prezzo e premio” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 22, 5).
E così raccogliendo noti testi biblici (cf. Mt 17, 5; Eb 1, 1), riassume: “Perché nel donarci, come ci ha dato, il Figlio suo, che è una Parola sua e non ne ha un’altra, ci ha detto tutto ed in una volta sola in questa unica Parola, e non ha più niente da dire” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 22, 3). Per questo la fede è la ricerca amorosa del “Dio nascosto” che si rivela in Gesù Cristo, l’Amato (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, I, 1-3.11).
Per di più, il dottore della fede non tralascia di puntualizzare che “Il Cristo lo troviamo nella Chiesa”, Sposa e Madre; e che nel suo magistero troviamo la norma sicura della fede, la medicina delle nostre ferite, la fonte della grazia: “E così”, scrive il santo, “in tutto ci dobbiamo lasciar guidare dalla legge di Cristo uomo e della Chiesa e i suoi ministri, umanamente e visibilmente, e tramite questa via rimediare alla nostra ignoranza e pigrizia spirituale; poiché in questa via troveremo abbondante medicina per ogni cosa” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 22, 7).
5. In queste parole del dottore mistico troviamo una dottrina di assoluta coerenza e modernità.
Giovanni della Croce invita l’uomo di oggi, angosciato dal significato dell’esistenza, spesso indifferente alla predicazione della Chiesa, forse scettico riguardo alle mediazioni della rivelazione di Dio, ad una ricerca onesta, che lo conduca fino alla fonte stessa della rivelazione che è il Cristo, la Parola e il Dono del Padre. Lo persuade a prescindere da tutto quello che potrebbe essere un ostacolo per la fede e lo colloca davanti a Cristo. Davanti a Colui che rivela e offre la verità e la vita divina nella Chiesa, la quale nella sua visibilità e nella sua umanità è sempre Sposa di Cristo, il suo Corpo Mistico, garanzia assoluta della verità della fede (cf. S. Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore, Prol., 1).
Per questo esorta ad intraprendere una ricerca di Dio nella preghiera, affinché l’uomo “si renda conto” della sua limitatezza temporale e della sua vocazione all’eternità (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 1, 1). Nel silenzio della preghiera si realizza l’incontro con Dio e si ascolta quella Parola che Dio ci dice in eterno silenzio e che nel silenzio deve essere ascoltata (cf. S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 104). Un grande raccoglimento e un abbandono interiore, uniti al fervore della preghiera, aprono le profondità dell’anima “al potere purificatore dell’amore divino”.
6. Giovanni della Croce seguì le orme del Maestro, che si ritirava a pregare in luoghi solitari (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, III, 44, 4). Amò la solitudine sonora dove si ascolta la musica silente, il rumore della fonte che sgorga e zampilla anche se è notte. Lo ha fatto durante le lunghe veglie di preghiera ai piedi dell’Eucarestia, quel pane vivo che dona la vita e che porta fino alla sorgente dell’amore trinitario.
Non si possono dimenticare le immense solitudini del Duruelo, l’oscurità e nudità del carcere di Toledo, i paesaggi andalusi della Peñuela, del Calvario, de los Mártires, a Granada. La bella e sonora solitudine segoviana dell’eremo, nelle rocce di questo convento fondato dal santo. Qui si sono consumati dialoghi d’amore e di fede; fino a quell’ultimo, commovente, che il Santo confidava con queste parole dette al Signore che gli offriva il premio per le sue opere: “Signore, quello che voglio è che Voi mi doniate di patire per Voi, e che sia io disprezzato e tenuto in poco conto”.
Così fino alla consumazione della sua identificazione con Cristo Crocifisso e della sua gloriosa pasqua a Ubeda, quando annunziò che andava a cantare il mattutino in cielo.
7. Una delle cose che più attirano l’attenzione negli scritti di san Giovanni della Croce è la lucidità con cui ha descritto la sofferenza umana, quando l’anima è investita dalla tenebra luminosa e purificatrice della fede.
Le sue osservazioni sorprendono il filosofo, il teologo e perfino lo psicologo. Il dottore mistico ci insegna la necessità di una purificazione passiva, di una notte oscura che Dio provoca nel credente, affinché sia più pura la sua adesione nella fede, speranza e amore. Infatti è così. La forza purificatrice dell’anima umana viene da Dio stesso. E Giovanni della Croce fu cosciente, come pochi, di questa forza purificatrice. Dio stesso purifica l’anima fino ai più profondi abissi del suo essere, accendendo nell’uomo la fiamma viva d’amore: il suo Spirito.
Egli ha contemplato con un’ammirabile profondità di fede, e a partire dalla sua propria esperienza della purificazione della fede, il mistero di Cristo Crocifisso; fino al culmine del suo abbandono sulla croce, dove viene offerto a noi, come esempio e luce dell’uomo spirituale. Lì, il Figlio amato del Padre “ha avuto bisogno di esclamare: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46)
Quello fu l’abbandono più grande che mai aveva provato nella sua vita. E in esso Gesù ha operato il miracolo più grande che mai avesse potuto operare nella sua vita, né in terra né in cielo, e che consistette nel riconciliare ed unire il genere umano con Dio” (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7, 11).
8. Anche l’uomo moderno, nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e collettiva l’abisso dell’abbandono, la tentazione del nichilismo, l’assurdità di tante sofferenze fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l’apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive.
Anche il cristiano e la stessa Chiesa possono sentirsi identificati con il Cristo di San Giovanni della Croce, nel culmine del suo dolore e del suo abbandono. Tutte queste sofferenze sono state assunte dal Cristo nel suo grido di dolore e nella sua fiduciosa consegna al Padre. Nella fede, la speranza e l’amore, la notte si converte in giorno, la sofferenza in gioia, la morte in vita.
Giovanni della Croce, con la sua esperienza, ci invita alla fiducia, a lasciarci purificare da Dio; nella fede intessuta di speranza e di amore, la notte comincia a conoscere “le luci dell’aurora”; si fa luminosa come una notte di Pasqua - “O vere beata nox”, “Oh notte amabile più dell’alba” - e annuncia la risurrezione e la vittoria, la venuta dello Sposo che unisce a sé e trasforma il cristiano: “Amata nell’Amato trasformata”.
Magari le notti oscure che si addensano sulle coscienze individuali e sulle collettività del nostro tempo fossero vissute nella fede pura; nella speranza “che tanto ottiene quanto spera”; nell’amore ardente della forza dello Spirito, affinché si convertano in giornate luminose per la nostra umanità addolorata, in vittoria del Risorto che libera col potere della sua croce!
9. Abbiamo ricordato nella lettura del Vangelo le parole del profeta Isaia, che Cristo fece sue: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).
Anche il “santo Fraticello Giovanni” - come lo chiamava la madre Teresa - fu, come Cristo, un povero che evangelizzò con immensa gioia e amore i poveri; e la sua dottrina è come una spiegazione di quel vangelo della liberazione dalle schiavitù e oppressioni del peccato, della luminosità della fede che guarisce ogni cecità. Se la Chiesa lo venera come dottore mistico sin dall’anno 1926, è perché riconosce in lui il gran maestro della verità vivente riguardo a Dio e all’uomo.
La “Salita del Monte” e la “Notte oscura” culminano nella gioiosa libertà dei figli di Dio nella partecipazione alla vita di Dio e alla comunione con la vita trinitaria (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 3-6). Soltanto Dio può liberare l’uomo; questi acquisisce totalmente dignità e libertà soltanto quando sperimenta in profondità, come san Giovanni della Croce indica, la grazia redentrice e trasformante di Cristo. La vera libertà dell’uomo è la comunione con Dio.
10. Il testo del libro della Sapienza ci avvertiva “Se tanto poterono sapere da scrutare l’universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?” (Sap 13, 19). Ecco una nobile sfida per l’uomo contemporaneo che ha esplorato le vie dell’universo. Ed ecco la risposta del mistico che dall’altura di Dio scopre l’orma del Creatore nelle sue creature e contempla in anticipo la liberazione della creazione (cf. Rm 8, 19-21).
Tutta la creazione, dice San Giovanni della Croce, è come bagnata dalla luce dell’Incarnazione e della Resurrezione: “In questo innalzamento della Incarnazione del suo Figlio e della gloria della sua Resurrezione secondo la carne non soltanto il Padre ha abbellito in parte le creature, ma possiamo dire che le ha completamente vestite di bellezza e dignità” (S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 5.4). Il Dio che è “Bellezza” si riflette nelle sue creature.
In un abbraccio cosmico che in Cristo unisce il cielo e la terra, Giovanni della Croce ha potuto esprimere la pienezza della vita cristiana: “Non mi toglierai, Dio mio, quello che una volta mi donasti nel tuo unico figlio Gesù Cristo in cui mi hai dato tutto quello che voglio . . . Miei sono i cieli e mia è la terra; miei sono le genti; i giusti sono miei, e miei i peccatori; gli angeli sono miei, e la Madre di Dio e tutte le cose sono mie, e lo stesso Dio è mio ed è per me, perché Cristo è mio e tutto per me” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 29-31).
11. Fratelli e sorelle: ho voluto con queste mie parole rendere un omaggio di gratitudine a San Giovani della Croce, teologo e mistico, poeta e artista, “uomo celestiale e divino” - come lo ha chiamato Santa Teresa di Gesù - amico dei poveri e saggio direttore spirituale delle anime. Egli è padre e maestro spirituale di tutto il Carmelo Teresiano, il plasmatore di quella fede viva che brilla nei figli più illustri del Carmelo: Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Raffaele Kalinowski, Edith Stein.
Chiedo alle figlie di Giovanni della Croce, le carmelitane scalze, che sappiano vivere l’essenza contemplativa di quell’amore puro che è eminentemente fecondo per la Chiesa (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 29, 2-3). Raccomando ai suoi figli, i carmelitani scalzi, fedeli custodi di questo convento e animatori del Centro di Spiritualità dedicato al Santo, la fedeltà alla sua dottrina e la dedizione alla direzione spirituale delle anime, così come allo studio e approfondimento della teologia spirituale.
Per tutti i figli di Spagna e di questa nobile terra segoviana, come garanzia di rigenerazione ecclesiale, lascio queste magnifiche consegne di san Giovanni della Croce universalmente valide: intelligenza perspicace per vivere la fede: “Un pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo; pertanto solo Dio è degno di esso” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 32).
Volontà impavida per esercitare la carità: “Dove non c’è amore, metti amore ed otterrai amore” (S. Giovanni della Croce, Lettera 25, a Maria dell’Incarnazione). Una fede solida e confortante, che muova costantemente ad amare veramente Dio e l’uomo; perché alla fine della vita, “quando giungerà la sera sarai giudicato sull’amore” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 64).
Con la mia benedizione apostolica per tutti.