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Per festeggiare la Santa Madre Teresa d'Avila pubblichiamo - tratta da "Illustrissimi" - una lettera del cardinale Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I, a lei idealmente indirizzata. Scritta nell'ottobre 1974 ma freschissima e attualissima ancor oggi, se non per il fatto che a condividere il titolo di Dottore della Chiesa si è aggiunta, rispetto ai tempi del Papa buono, un'altra donna, la recentemente festeggiata Teresa di Lisieux. En passant, segnaliamo inoltre un bell'articolo apparso nei giorni scorsi su Avvenire, "Teresa D'Avila architetta dell'anima", consultabile qui. Ma ecco di seguito il testo della lettera del cardinale Luciani spiritualmente spedita alla Santa:

Cara Santa Teresa, Ottobre è il mese della vostra festa: ho pensato che mi permettereste di intrattenermi per iscritto con Voi. Chi guarda al famoso gruppo marmoreo, nel quale il Bernini vi presenta trasverberata dalla freccia del Serafino, pensa alle vostre visioni ed estasi. E fa bene: la Teresa mistica dei rapimenti in Dio è pure una vera Teresa. Ma è vera anche l’altra Teresa, che mi piace di più: quella vicina a noi, quale risulta dall’autobiografia e dalle lettere. E’ la Teresa della vita pratica; che prova le stesse nostre difficoltà e le sa superare con destrezza; che sa sorridere, ridere e far ridere; che si muove con spigliatezza in mezzo al mondo ed alle vicende più diverse e tutto ciò in grazia delle abbondanti doti naturali, ma più ancora della sua costante unione con Dio.

Scoppia la Riforma protestante, la situazione della Chiesa in Germania e in Francia è critica. Voi ve ne accorate e scrivete: "Pur di salvare un’anima sola delle molte che là si perdevano, avrei sacrificato mille volte la vita. Ma ero donna!". Donna! ma che vale venti uomini, che non lascia intentato alcun mezzo e che riesce a realizzare una magnifica riforma interna e con l’opera e gli scritti influisce su tutta la Chiesa; la prima e l’unica donna che, con Santa Caterina, sia stata proclamata Dottore della Chiesa! Donna dalla lingua schietta e dalla penna forbita e tagliente. Avevate un altissimo concetto della missione delle monache, ma avete scritto a padre Graziano: "Per amor di Dio, badi bene a quello che fa! Non creda mai alle monache, perché se esse vogliono una cosa, tentano tutti i mezzi possibili". E a padre Ambrogio, rifiutando una postulante, dite: "Lei mi fa ridere, dicendomi di avere compreso quell’anima solo a vederla. Non è tanto facile conoscere le donne!". E’ vostra la lapidaria definizione del diavolo: "Quel povero disgraziato, che non può amare". A don Sancho Davila: "Distrazioni nella recita dell’Ufficio divino ne ho anch’io... me ne sono confessata da padre Domenico (Bañez, teologo famoso, n.d.a.), il quale mi ha detto di non farne caso. Altrettanto dico a lei, perché il male è incurabile". E’ un consiglio spirituale, questo, ma di consigli ne avete sparsi a piene mani e di tutti i generi; a padre Graziano, avete perfino dato il consiglio di cavalcare nei suoi viaggi un ciuco più dolce, che non avesse il vezzo di scaraventare i frati a terra, oppure di farsi legare al ciuco stesso per non cascare! Insuperabile, però, apparite nel momento della battaglia. Il Nunzio, nientemeno, vi fa rinchiudere nel convento di Toledo, dichiarandovi "femmina inquieta, vagabonda, disobbediente e contumace...". Ma dal convento vostri messaggi a Filippo II, a principi e prelati sciolgono ogni matassa. Vostra conclusione: "Teresa da sola vale nulla; Teresa e un soldo valgono meno di nulla; Teresa, un soldo e Dio possono tutto!".

Per me, Voi siete un caso notevole di un fenomeno, che si ripete regolarmente nella vita della Chiesa Cattolica. Le donne cioè, di per sé, non governano, questo appartiene alla Gerarchia, ma molto spesso ispirano, promuovono e talvolta dirigono. Da una parte, infatti, lo Spirito “spira dove vuole”; dall’altra, la donna è più sensibile alla religione e più capace di darsi generosamente alle grandi cause. Di qui la schiera grandissima di sante, di mistiche e di fondatrici apparse nella Chiesa Cattolica. Accanto ad esse bisognerebbe annoverare le donne, che hanno avviato movimenti ascetico-teologici, i quali influirono su raggio molto vasto. La nobile Marcella, che diresse sull’Aventino una specie di convento composto di patrizie ricche e colte, collaborò con San Girolamo alla traduzione della Bibbia. Madame Acarie influenzò illustri personaggi come il gesuita Coton, il cappuccino de Canfelt, lo stesso Francesco di Sales e molti altri, influendo su tutta la spiritualità francese del primo Seicento. La principessa Amalia di Gallitzin, dal suo “Circolo di Münster”, apprezzato perfino da Goethe, diffuse su tutta la Germania settentrionale una corrente di vita intensamente spirituale. Sofia Swetchine, russa convertita, nel primo Ottocento, apparve in Francia la “direttrice spirituale” dei laici e dei sacerdoti più rappresentativi. Potrei citarne altri casi, ma ritorno a Voi che, più di figlia, siete stata madre spirituale di San Giovanni della Croce e dei primi Carmelitani riformati. Oggi è tutto chiaro e liscio in proposito, ma ai vostri giorni ci fu lo scontro sopra accennato. Da una parte c’eravate Voi, ricca di carismi, forze ardenti e luminose concessevi per la Chiesa di Dio; dall’altra c’era il Nunzio ossia la Gerarchia che doveva giudicare l’autenticità dei vostri carismi. In un primo momento, poste le informazioni distorte, il giudizio del Nunzio fu negativo. Una volta date le necessarie spiegazioni ed esaminate meglio le cose, queste si chiarirono: la Gerarchia approvò tutto e i vostri doni poterono espandersi a favore della Chiesa.

Ma di carismi e di Gerarchia si sente parlare tanto anche oggi. Specialista quale foste in materia, mi permetto di attingere dalle vostre opere i seguenti principi. 

1.      Al di sopra di tutto c’è lo Spirito Santo. Da Lui vengono sia i carismi sia i poteri dei Pastori; allo Spirito spetta realizzare l’accordo armonico tra Gerarchia e carismi e promuovere l’unità della Chiesa. 
2.      Carismi e Gerarchia sono entrambi necessari alla Chiesa, ma in modo diverso. I carismi agiscono da acceleratore, favorendo il progresso e il rinnovamento. La Gerarchia deve fare piuttosto da freno, a favore della stabilità e della prudenza. 
3.      A volte carismi e Gerarchia si incrociano e sovrappongono. Certi carismi, infatti, sono dati precipuamente ai Pastori come i “doni di governare” ricordati da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Viceversa, dovendo la Gerarchia regolare tutte le tappe principali della vita ecclesiale, i carismatici non possono sottrarsi alla di lei guida col pretesto che hanno dei carismi. 
4.      I carismi non sono caccia riservata di nessuno: possono essere dati a tutti: preti e laici, uomini e donne. Altra cosa però è poter avere, altra avere di fatto i carismi. Trovo scritto nel vostro libro delle Fondazioni (c. VIII, n. 7): "Una penitente affermava al confessore che la Madonna andava spesso a trovarla e si intratteneva a parlarle più di un’ora, rivelandole il futuro e molte altre cose. E siccome tra tante stramberie ne usciva vera qualcuna, si riteneva tutto per vero. Intesi subito di che si trattava... ma mi contentai di dire al confessore che attendesse l’esito delle profezie, che si informasse del genere di vita della penitente ed esigesse altri segni di santità. Infine... si vide che erano tutte stravaganze".

Cara Santa Teresa, se veniste oggi! Il nome “carisma” si spreca; si distribuiscono patenti di “profeta” a tutto spiano, attribuendo questo titolo anche agli studenti che affrontano la polizia sulle piazze o ai guerriglieri dell’America Latina. Si pretende di opporre i carismatici ai Pastori. Che ne direste Voi, che obbedivate ai confessori anche quando i loro consigli risultavano opposti a quelli dativi da Dio nell’orazione? E non crediate che io sia pessimista. Quello di veder carismi dappertutto spero sia solo un andazzo passeggero. D’altra parte, so bene che i doni autentici dello Spirito sono sempre stati accompagnati da abusi e da falsi doni; ciononostante la Chiesa è andata avanti lo stesso. Nella giovane Chiesa di Corinto, per esempio, c’era una grande fioritura di carismi, ma San Paolo se ne preoccupò alquanto per qualche abuso riscontrato. Il fenomeno si ripeté in seguito in forme aberranti più vistose. Due donne, Priscilla e Massimilla, sostenitrici e finanziatrici del Montanesimo in Asia, cominciarono col predicare “carismaticamente” un risveglio morale fatto di grandi austerità, di rinuncia totale al matrimonio, di prontezza assoluta al martirio. Finirono per contrapporre ai vescovi i “nuovi profeti”, uomini e donne, che “investiti dallo Spirito”, predicavano, amministravano i sacramenti, aspettavano il Cristo, che da un momento all’altro sarebbe dovuto venire ad inaugurare il regno millenario. Al tempo di Sant’Agostino ci fu Lucilla di Cartagine, ricca signora, che il vescovo Ceciliano aveva sgridato perché, prima della Comunione, era solita stringere al petto un piccolo osso non si sa di quale martire. Irritata e risentita, Lucilia indusse un gruppo di vescovi ad opporsi al suo vescovo: perso un processo presso l’episcopato africano, il gruppo protestò, senza successo, presso il papa, poi presso il Concilio di Arles, poi presso lo stesso imperatore e iniziò una chiesa nuova. In quasi tutte le città africane si videro così due vescovi, due cattedrali frequentate da due opposte categorie di fedeli che, incontrandosi, si davano botte: di qua i cattolici, di là i donatisti seguaci di Donato e di Lucilla. I donatisti si chiamavano i “puri”; non si sedevano a! posto occupato prima da un cattolico senza averlo pulito con la manica; evitavano come appestati i vescovi cattolici; si appellavano al Vangelo contro la Chiesa, che dicevano sostenuta dall’autorità imperiale; istituirono squadre d’assalto. Il mitissimo Sant’Agostino dovette una volta apostrofarli: "Ci tenete tanto al martirio, perché non prendete una corda per impiccarvi?". Nel secolo XVII ci furono le monache di Port Royal. Una delle loro Abbadesse, Madre Angelica, era partita bene: aveva “carismaticamente” riformato se stessa e il monastero, respingendo dalla clausura perfino i genitori. Fornita di grandi doti, nata per governare, diventò però l’anima della resistenza giansenista, intransigente fino all’ultimo davanti all’autorità ecclesiastica. Di lei e delle sue monache si diceva: "Pure come angeli, superbe come demoni". Quanto è lontano tutto questo dal vostro spirito! Quale abisso tra queste donne e Voi! "Figlia della Chiesa" era il nome che vi piaceva di più. Lo mormoraste sul letto di morte, mentre, durante la vita, per la Chiesa e con la Chiesa avevate tanto lavorato, accettando perfino di soffrire qualcosa dalla Chiesa! Se insegnaste un po’ il vostro metodo alle “profetesse” di oggi?!