di F. Iacopo Iadarola ocd
Papa Francesco, nella sua ultima enciclica uscita pochi giorni or sono, nei paragrafi conclusivi ha citato due dei nostri Dottori della Chiesa: S. Teresa di Gesù Bambino e S. Giovanni della Croce. Li troviamo entrambi nell'ultimo capitolo, il sesto, con cui l'enciclica si chiude all'insegna dell'"Educazione e spiritualità ecologica". Nel quinto paragrafo di questo capitolo, intitolato "Amore civile e politico", al n°230, il Santo Padre scrive: "L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma".
Come a dire: la carità quotidiana e la "piccola via dell'amore" non sono devozioncine da sacrestia, ma leve potentissime in grado di cambiare le macrostrutture e le "macrorelazioni nei rapporti sociali, economici e politici" del mondo intero, e di edificare "la civiltà dell'amore", come prosegue Francesco nel paragrafo successivo, accodando alle parole di S. Teresina il magistero di Benedetto XVI e quello di Paolo VI. E ciò non stupisce, se ricordiamo che a suggello del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, al n° 583, è riportato proprio un brano tratto dall'Atto di offerta all'Amore misericordioso della Santa di Lisieux.
Venendo a S. Giovanni della Croce, le sue parole sono citate poco oltre nell'enciclica, nel sesto paragrafo: "I segni sacramentali e il riposo celebrativo", al n° 234: "San Giovanni della Croce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo «si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano». Non è perché le cose limitate del mondo siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli esseri, e così «sente che Dio è per lui tutte le cose». Se ammira la grandezza di una montagna, non può separare questo da Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli vive deve depositarsi nel Signore: «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me»".
Sono queste parole tratte dal Cantico Spirituale (Strofa XIV, 5-7), la celebre opera che il Santo Dottore della Chiesa, oltre che patrono dei poeti spagnoli, scrisse come chiosa teologica postuma di un proprio poema composto a memoria in una cella di prigionia: proprio lì, nel buio e nello squallore, come S. Francesco di Assisi negli ultimi anni della sua cecità, S. Giovanni della Croce seppe gioire più a fondo del mistero della contemplazione cristiana delle cose, comprendendo e spiegando che la natura non soltanto rimanda, quasi come sacramento, al suo Creatore - questo è facile da capire - ma anche che, molto più, nello sguardo del mistico le cose e la natura sono viste come le vede Dio, come le dovette vedere Dio Padre al momento di crearle per tramite del Figlio, nel quale sono state fatte tutte le cose (Col 1,16). Infatti in una spiritualità ecologica, come la chiama il Papa, o in un'ecologia mistica, come potremmo dire alla scuola del Carmelo, Dio non è soltanto l'oggetto da intravedere nelle trame del creato o da amare nel povero, ma anche il soggetto che in noi dimora (2Cor 13,5) e che può vedere coi nostri occhi e amare col nostro cuore quanto è buona la Sua Creazione. Solo così, in questa prospettiva mistica, l'eco-logia si scopre realmente cristiana, si scopre sorella dell'euco-logia, diventa parte dell'eco-nomia di salvezza (Ef 1,10; 1Tm 1,4), e non una semplice moda del momento cui stringere l'occhio: perché quell'"eco-" - oìkos- rimanda all'unica medesima casa che noi abitiamo - la natura - e in cui siamo da Lui abitati - l'essere umano.