di F. Iacopo Iadarola ocd
In uno stesso giorno, 11 aprile 2015, Papa Francesco ha emanato due documenti in cui sono citati due dei nostri Dottori della Chiesa: S. Teresa di Gesù Bambino e S. Giovanni della Croce.
Il primo è la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, un gioiello che è quasi una piccola enciclica e nel cui cuore è incastonata una delle più celebri affermazioni del nostro Padre S. Giovanni della Croce. Siamo nel paragrafo 15 della Bolla, in cui si esorta la Chiesa e riprendere con entusiasmo la pratica delle opere di misericordia corporali e spirituali: "In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore»".
Queste sono tratte dall'opera minore Parole di luce e amore, 57 (S. Giovanni della Croce, Opere, Edizioni OCD 2012, p.1091) e continuano in questo modo: "Impara ad amare Dio come Egli vuole essere amato e lascia il tuo modo di fare e di vedere".
Il secondo documento è il Discorso ai partecipanti al raduno dei formatori di consacrati e consacrate, promosso dalla congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Parlando delle doti che un formatore religioso deve coltivare, Papa Francesco arriva a indicare come importantissima la pazienza, e lo fa adducendo come modello esemplare (e non è certo la prima volta che la sua mente e la sua penna corrono a lei!) S. Teresa di Gesù Bambino: "Dio sa aspettare. Anche voi, imparate questo, questo atteggiamento della pazienza, che tante volte è un po’ un martirio: aspettare… E quando ti viene una tentazione di impazienza, fermati; o di curiosità… Penso a santa Teresa di Gesù Bambino, quando una novizia incominciava a raccontare una storia e a lei piaceva sentire come era finita, e poi la novizia andava da un’altra parte, santa Teresa non diceva niente, aspettava. La pazienza è una delle virtù dei formatori."
L'episodio venuto in mente al Santo Padre ricorre precisamente in Storia di un'anima, Manoscritto C, 32v°, in cui Teresina scrive della propria esperienza di Maestra delle novizie: "Così quando parlo con una noviza, cerco di farlo mortificandomi, evito di rivolgerle delle domande che potrebbero soddisfare la mia curiosità; se inizia a parlare di una cosa interessante e poi passa ad un'altra che mi annoia senza concludere la prima, mi guardo bene dal ricordarle l'argomento che ha lasciato da parte, perché mi sembra che non si può fare alcun bene quando si cerca sè stessi" (S. Teresa di Gesù Bambino, Opere complete, Libreria Editrice Vaticana - Edizioni OCD 2009, p. 273).
Ci permettiamo di giustapporre a quanto ricordato dal Papa anche un altro episodio della vita di Teresina, in cui ella, giovanissima, mostra già di conoscere quella pazienza misericordiosa di Dio che ogni maturo formatore dovrebbe saper imitare:
"Le confiderò, Madre cara, questo dolce ricordo. A quindici anni, quand'ebbi la felicità di entrare nel Carmelo, trovai una compagna di noviziato la quale mi aveva preceduta di qualche mese; aveva otto anni più di me, ma il suo carattere infantile faceva dimenticare la differenza di età; perciò ella ebbe ben presto, Madre mia, la gioia di vedere le due piccole postulanti intendersi a meraviglia e divenire inseparabili. Per favorire quest'affetto nascente che a lei sembrava dovesse portare dei frutti, ci aveva permesso di avere insieme di quando in quando dei piccoli colloqui spirituali. La mia cara compagna m'incantava con la sua innocenza, col suo carattere espansivo, ma d'altra parte io stupivo vedendo come l'affezione che ella nutriva verso di lei era molto diversa da quella che nutrivo io. Avrei desiderato anche che cambiasse varie cose nella sua condotta riguardo alle consorelle. Fin da quel tempo il buon Dio mi fece capire che la sua misericordia non si stanca di attendere certe anime, alle quali dà la sua luce soltanto per gradi, perciò mi guardavo bene dall'anticipare l'ora della mia consorella, e aspettavo pazientemente che piacesse a Gesù farla arrivare. Riflettendo un giorno al permesso che lei ci aveva dato di intrattenerci come è detto nelle nostre sante costituzioni: «Per infiammarci di più nell'amore del nostro Sposo», pensai con tristezza che le nostre conversazioni non raggiungevano lo scopo desiderato. Allora il Signore mi fece sentire che il momento era venuto, e che non bisognava più temere di parlare, oppure che dovevo cessare quelle conversazioni; esse somigliavano, infatti, ai colloqui fra amiche nel mondo. Quel giorno era un sabato; l'indomani, durante il mio ringraziamento, supplicai il Signore di ispirarmi parole dolci e convincenti, o piuttosto di parlare egli stesso per mezzo mio. Gesù esaudì la mia preghiera, permise che il risultato colmasse interamente la mia speranza, perché: «Coloro che volgeranno i loro sguardi verso lui, saranno illuminati» (Salmo XXXIII) e «la luce si è alzata nelle tenebre per coloro che hanno il cuore retto». La prima parola si rivolge a me e la seconda alla mia compagna, la quale veramente aveva il cuore retto. Arrivata l'ora nella quale avevamo risoluto di stare insieme, la povera sorellina gettando gli occhi su me vide subito che non ero più la stessa; si sedette accanto a me arrossendo, e io, appoggiando la sua testa sul mio cuore, le dissi, con le lacrime nella voce, tutto quello che pensavo di lei, ma con espressioni così tenere, mostrandole un affetto così grande, che ben presto le sue lacrime si confusero con le mie. Riconobbe con grande umiltà che tutto quello che dicevo era vero, mi promise di cominciare una nuova vita e mi chiese come una grazia di avvertirla sempre riguardo alle sue mancanze. Finalmente, nel momento di separarci, il nostro affetto era divenuto tutto spirituale, non c'era più niente di umano. In noi si attuava quel passo della Scrittura: «Il fratello che è aiutato dal fratello è come una città fortificata»" (Manoscritto C, 20v°-21v°).