a cura di Santiago Riopérez y Milá
Fin dall'inizio della sua carriera letteraria, lo scrittore spagnolo José Augusto Martínez Ruiz, in arte "Azorín" (1873-1967), si interessò vivamente della vita e dell'opera di Santa Teresa di Gesù. Da giovane acquistò in un negozio di oggetti antichi la prima edizione dell'epistolario della Santa, pubblicato in due volumi a Saragozza nel 1658.
Uno dei primi articoli che Azorín pubblicò nel 1896 a Madrid, dopo esservi giunto da Valencia, apparve sul giornale Madrid Cómico, intitolato "Sugli itinerari di Santa Teresa". Da allora, lungo tutta la sua feconda ed estesa creazione artistica, il tema della monaca castigliana appare inizialmente sotto forma di semplice citazione, poi in un dettagliato e minuzioso articolo, fino a costituire il fulcro di uno dei suoi romanzi più squisiti e analitici.
Ecco una breve antologia dei testi azoriniani che riflettono sul tema profondo e delicato della vita e dell'opera della riformatrice spagnola.
«Non è inattivo, silenzioso e neppure assorto nei grandi chiostri solitari il misticismo spagnolo: è religione battagliera, inquieta, pellegrina; essa compie lunghi viaggi, predica nelle campagne come nelle città, fonda monasteri, riforma Ordini... Esiste forse uno spirito spagnolo più energico e indomabile di quello della monaca abulense? Povera, acciaccata, abbandonata da tutti, combattutta dal dolore, percorre l'intera Spagna, da Salamanca a Toledo, da Toledo a Siviglia, da Siviglia a Valladolid. Ella fondò di persona sedici monasteri... Come è possibile tratteggiare in così poche pagine quanto di ammirabile rappresenta, in questo senso, l'anima spagnola?» (Tratto da El alma castellana, 1900. Obras completas, t. I, pp. 637-8).
«Ho visto, all'imbrunire, nel Museo, un magnifico busto, opera di Alonso Cano. Ho provato raramente emozioni così profonde. Era la raffigurazione scolpita di una monaca in estasi, con il volto sollevato, con gli occhi puntati verso l'infinito, rapita, ansiosa... Ed è così ferma ed energica, così sincera la sua espressione che, nel guardare questa meravigliosa monaca, si vede lo spirito vivo, la fede, il fervore, i dolorosi rapimenti della divina Donna di Avila. Io amo questa donna tormentata di un amore appassionato e delicato. Quale artista può non amarla? Teresa di Gesù è nostra. Ella rappresenta la fede onnipotente, la frantumazione profondamente artistica delle cose terrene, l'ansia dell'infinito, il volo sicuro e sereno verso l'Ideale. Illuminata, astratta, indomato spirito di un corpo acciaccato, ella percorre tutta la Spagna, soffre la fame, il freddo, fonda numerosi poveri e miseri conventi...» (Da Diario de un enfermo, 1901. O.C., t. I, pp. 719-20).
[Parlando del popolo spagnolo] «Non avevamo, in nessuna occasione, da imparare nulla dall'Europa. Non avevamo per niente bisogno dell'Europa. Noi eravamo l'Europa, noi e nessun altro popolo; o, perlomeno, noi eravamo Europa – e continuiamo ad esserlo – tanto quanto le altre nazioni. Il nostro ideale era elevato e legittimo tanto quanto quello degli altri paesi europei. È falso affermare che Cartesio sia sueriore a Santa Teresa, o che Kant lo sia a San Giovanni della Croce» (Da Una hora de España, 1924. O.C., t. IV, pp. 566-7).
«Teresa di Gesù – al secolo, donna Teresa Sánchez de Ahumada – cammina adagio, con passi silenziosi, per l'ampio chiostro... La “Vita” di Teresa, scritta da lei stessa, è il libro più profondo, più denso, più penetrante di tutta la letteratura europea; innanzi ad essa i più acuti analisti dell'io – uno Stendhal, un Benjamin Constant – sono fanciulli inesperti. E nonostante ciò, ella non ha posto in questo libro che una piccola parte del suo spirito. Ma tutto in queste pagine, prive delle forme del mondo esteriore, è senza colore, senza esteriorità, tutto è puro, denso, schietto, tutto è di un drammatismo, di un interesse e di un'ansietà tragici... Mentre nello spirito di Teresa si attuano questi terribili conflitti e tutto all'interno è tragico e complessissimo, dal di fuori il comportamento è pacifico, le maniere sono semplici, il passo è riposato e un sorriso – il perenne sorriso – sboccia, divino, sulle sue labbra» (Da Clásicos redivivos, 1945. O.C., t. VIII, pp. 47-9).
«Il segreto di Teresa – del trionfo di Teresa – risiede nel suo carattere; ardito, integro, gioviale, affabile; Teresa stessa ce lo testimonia: “Tutte mi volevano bene, perché Dio mi ha dato la grazia di piacere a chiunque, e ne erano molto contente” (Vita 2,8). Ha dovuto viaggiare, pur essendo malata e anziana, nell'afosa calura, nutrendosi quasi esclusivamente di fichi secchi, di cibo non del tutto appropriato: ella ha sopportato tutto con serenità... Quando leggiamo gli scritti di Teresa la prima particolarità che avvertiamo consiste nella ristrettezza del suo vocabolario: rispecchia la pochezza tipica del popolo. Il linguaggio di Teresa rispecchia il linguaggio popolare e domestico tipico delle famiglie benestanti... Nelle “Fondazioni” da lei scritte contempliamo la vita spagnola del XVI secolo; c'è descritto tutto: ritratti, scenari, introspezioni... L'analisi psicologica non è mai stata così approfondita» (Da “Santa Teresa”, articolo pubblicato sulla rivista ABC e riedito su El Pasado 1955, pp. 31-3).
«Nelle “Lettere” si vede la somiglianza tra il linguaggio della Santa e quello utilizzato ancora in alcune località della Spagna. Si conservano intorno alle quattrocento lettere teresiane. La Santa scrive instancabilmente. “Devo scrivere molto”, ci dice; afferma inoltre: “Sono carica di lettere”. I temi da lei trattati nelle lettere sono molteplici; generalmente si rifericono all'organizzazione dei conventi, al modo di vivere delle comunità e ai fondi per le fondazioni. Il linguaggio che Santa Teresa usa nelle sue lettere è lo spagnolo più profondo che io conosca: Castiglia pura» (Da “Las Cartas”, articolo pubblicato su ABC 14/08/1952 e riedito su El Pasado, pp. 43-7).
«Avila è la città più alta della Spagna: 1133 m sopra il livello del mare... Per la spiritualità teresiana, l'edificio più sensibile, più commovente, ad Avila, è il convento dell'Incarnazione; di fronte a una mappa di Avila si vede che il convento dell'Incarnazione è situato al di fuori della cinta muraria, dietro a un quadrilatero seminato di piccole croci: il cimitero vecchio. Santa Teresa vive all'Incarnazione per ventisette anni: i ventisette anni della sua giovinezza. Desta stupore il fatto che ella ritardi tanto a decidersi per la riforma; esce dall'Incarnazione per fondare, nella stessa Avila, il convento di San Giuseppe – detto “delle Madri” – di monache carmelitane non mitigate, ma scalze. Teresa dovette sentire, da una parte, gli impulsi irresistibili del bisogno di riforma, e dall'altra la tristezza inenarrabile del congedo. Per gli artisti Teresa è come Cervantes: una lezione perpetua. In quanto a stile Teresa insegna di più di Cervantes: in Cervantes ritroviamo uno stile “fatto”, mentre in Teresa vi è uno stile “che va facendosi”. La lotta di Teresa è consistita essenzialmente nella povertà; Teresa e le sue sorelle vogliono essere povere. La povertà implica la solitudine; Teresa che percorre i sentieri della Spagna rappresenta la solitudine» (Da “Avila”, in ABC, poi in El Pasado, pp. 61-4).
Come sopra accennato, Teresa costituisce anche il perno di uno dei romanzi di Azorín; ella è oggetto del problema estetico e psicologico della mente di Félix Vargas, il protagonista di El caballero inactual. Azorín pubblicò questo romanzo nel 1928, che insieme a Super-realismo (1929) e Pueblo (1930) forma la sostanziale trilogia azoriniana, con la quale l'autore intende «rinnovare lo sviluppo del romanzo, il quale agonizza tra le rovine», come egli stesso ebbe modo di asserire in un intervista del settimanale “Estampa”.
La storia asciutta di Félix Vargas, poeta sensibile, consiste nell'angusto dubbio davanti alla scelta dell'argomento per un nuovo libro; il suo spirito oscilla tra due temi: il primo, iniziato, è su Benjamin Constant e le tre donne che hanno influito sullo scrittore francese; il secondo, proposto, è un breve corso su Santa Teresa di Gesù.
Alla fine il poeta, dopo aver compiuto le sue sottili oscillazioni spirituali – finemente analizzate da parte di Azorín – comincia il suo studio sulla Santa:
«Bisognerà creare – pensa il poeta – una Santa Teresa moderna, palpitante, che viva con noi ora. È impossibile rievocare una figura antica in maniera archeologica; l'archeologia è la nemica della sensazione viva […]. Desideri, speranze improvvise, disinganni imprevisti, decadenze rapide della forza vitale, appassionate esaltazioni: tutto questo era ciò che circondava Teresa […]. La Santa è seduta davanti al tavolino che si trova nella stanza; Félix la contempla in silenzio. Contempla il suo viso florido, un poco pallido. E il suo abito bianco e pardo. Semplice, povera […]. La Santa è lì, insieme a Félix; lo guarda, sorride; appoggia la sua mano sulla spalla del poeta, delicatamente […]. Tutta la Spagna è piena delle fondazioni che la Santa è andata compiendo con sforzi e fatiche; lotta contro gli uomini e contro i propri terribili dolori […]. Le pacifiche vallate della pianura di Castiglia: aspirazione all'infinito. Silenzio negli ampli chiostri. Ora passi quieti; il tintinnìo di un rosario; il conflitto intimo, profondo, sotto l'immutabilità del volto» (O.C., t. V, pp. 41-95).
Da Revista de Espiritualidad, nn. 87-89, Madrid 1963 (traduzione dallo spagnolo di F. Francesco Palmieri ocd)