di F. Francesco Conte ocd
Non ci è certo nuova l’espressione «Teresa, amica di buoni libri», usata per riferirsi alla nostra Santa Madre con l’intenzione di sottolineare quanto alcune letture particolari (di antica tradizione o più recenti) possano averla influenzata, o meglio aiutata nel definire in un certo modo la sua esperienza di religiosa carmelitana e il suo messaggio per il Carmelo rinnovato e per la Chiesa tutta. In questa sede vogliamo presentare, anche solo per brevi tratti, il legame particolarissimo di Teresa di Gesù con sant’Agostino, proprio nel momento in cui la santa "scopre" le Confessioni e trova per la prima volta una conferma e un conforto a quello che lei stessa stava vivendo.
Così Teresa scrive nella Vita:
«Mi dettero in quel tempo le «Confessioni di S. Agostino», e credo per un tratto di divina provvidenza, perché non solo non le avevo cercate, ma neanche sapevo se esistessero.
Io sono molto devota di S. Agostino: primo, perché il monastero nel quale sono stata da secolare era del suo Ordine, e poi perché era stato peccatore. I santi che furono peccatori e che Dio chiamò al suo servizio mi consolavano molto, parendomi di trovare in essi un appoggio, nella fiducia che il Signore perdonasse a me, come aveva a loro perdonato. Però, ripeto, mi desolava molto il fatto che essi, chiamati da Dio una volta, non l'avevano più abbandonato, mentre io sono stata chiamata un infinito numero di volte, e questo mi affliggeva. Ma riprendevo coraggio, pensando all'amore che Egli mi portava, perché mai ho diffidato della sua misericordia, bensì di me stessa, e molte volte. (…)
Cominciando a leggere le "Confessioni di S. Agostino", mi parve di vedere in esse la mia vita, e mi raccomando molto a questo santo glorioso. Quando giunsi alla sua conversione e lessi della voce che udì in giardino, ne ebbi una così viva impressione come se l'udissi pur io, e per lungo tempo rimasi a sciogliermi in lacrime con l'anima travagliata da grandissima lotta. Oh, la libertà che mi rendeva padrona! lo mi stupisco di aver potuto sopravvivere a tanta angoscia! Sia benedetto Colui che mi mantenne in vita per farmi uscire da morte così funesta!» (Vita 9, 7-8)
In questo breve passo della Vita Santa Teresa fa riferimento ad un episodio specifico delle Confessioni di sant’Agostino, episodio che si inserisce nel racconto della conversione, presente nell’ottavo libro: il famoso passo del «prendi e leggi». Agostino, dopo aver ascoltato il racconto della conversione di due funzionari di Treviri, narrato dall’amico e compatriota Ponticiano, sente nascere in sé una forte e lacerante crisi interiore, in cui il Signore lo faceva ritornare su se stesso per scoprirne tutte le brutture e malvagità, e gli faceva prendere chiara coscienza di quanto fosse lontano da Lui1.
Nel mezzo di questo grande tumulto del cuore (di questo si parla nelle Confessioni), Agostino, in un impeto d’azione, si precipita dall’amico Alipio, che a sua volta aveva ascoltato il racconto di Ponticiano: perché tutto questo tormento di fronte alla conversione dei due agentes in rebus di Treviri? come rispondere? che fare? Inizia così l’episodio che santa Teresa ricorda in Vita 9, 8, quello della voce udita nel giardino.
«Là mi sospinse il tumulto del cuore. Nessuno avrebbe potuto arrestarvi il focoso litigio che avevo ingaggiato con me stesso e di cui tu conoscevi l'esito, io no. Io insanivo soltanto, per rinsavire, e morivo, per vivere, consapevole del male che ero e inconsapevole del bene che presto sarei stato. Mi ritirai dunque nel giardino, e Alipio dietro, passo per passo. (…)
Quando dal più segreto fondo della mia anima l'alta meditazione ebbe tratto e ammassato tutta la mia miseria davanti agli occhi del mio cuore, scoppiò una tempesta ingente, grondante un'ingente pioggia di lacrime. Per scaricarla tutta con i suoi strepiti mi alzai e mi allontanai da Alipio, parendomi la solitudine più propizia al travaglio del pianto, quanto bastava perché anche la sua presenza non potesse pesarmi. (…) Io mi gettai disteso, non so come, sotto una pianta di fico e diedi libero corso alle lacrime. Dilagarono i fiumi dei miei occhi, sacrificio gradevole per te, e ti parlai a lungo, se non in questi termini, in questo senso: "E tu, Signore, fino a quando? Fino a quando, Signore, sarai irritato fino alla fine? Dimentica le nostre passate iniquità2". Sentendomene ancora trattenuto, lanciavo grida disperate: "Per quanto tempo, per quanto tempo il "domani e domani"? Perché non subito, perché non in quest'ora la fine della mia vergogna?".
Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: "Prendi e leggi, prendi e leggi". Mutai d'aspetto all'istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L'unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. (…) Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell'Apostolo all'atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze3". Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono» (Conf. 8, 8, 19; 8, 12, 28-29).
La presa di coscienza dell’assoluta lontananza da Dio provoca in Agostino una vera pioggia di lacrime, che non si riesce a placare in nessun modo. È interessante notare come l’autore ricorra ad immagini relative alla sfera semantica della tempesta (tempesta ingente, pioggia di lacrime), alternandole con l’immagine del fiume in piena (dilagarono i fiumi dei miei occhi, la piena delle lacrime): tutto questo per rendere evidente la grande amarezza e disperazione che provava in quel momento. Ma la voce infantile udita nel giardino («prendi e leggi, prendi e leggi») è il punto di svolta di tutto il racconto di conversione. Agostino prende sul serio quell’invito, che gli sembra provenire proprio da Dio, e torna a riprendere in mano il codice con le Lettere di San Paolo; il primo versetto che gli capita sotto gli occhi (Rm 13, 13ss) è per lui sufficiente per dissipare ogni incertezza e decidersi finalmente a servire solo e unicamente il Signore, che se l’era pian piano conquistato per sé.
Santa Teresa, alla lettura di questo brano, non può far altro che scoppiare anch’essa in lacrime disperate, perché si sente coinvolta totalmente dal racconto: quell’invito lascia in lei una viva impressione, lei dice «come se l’udissi pure io». E infatti quella lettura e quel pianto non furono inutili. La Santa prosegue: «Certo che Egli dovette ascoltare i miei gemiti e muoversi a pietà delle mie lacrime. Cominciai col sentirmi crescere il desiderio di stare più a lungo con Lui e di togliermi dagli occhi tutte le occasioni cattive, lontana dalle quali mi davo subito ad amare il Signore» (Vita 9, 9).
Per santa Teresa è una vera scoperta: sant’Agostino e in particolare le Confessioni resteranno per lei punti di riferimento sicuri e utili nel suo messaggio. La riflessione agostiniana sulla «dispersione nel molteplice» e sulla «dissipazione» di se stessi e della propria vita sembra trovare nuova voce nelle parole di Teresa: «di passatempo in passatempo, di vanità in vanità, di occasione in occasione cominciai a mettere di nuovo in pericolo la mia anima» (Vita 7, 1). In Agostino, senza dubbio, Teresa ha trovato l’esempio di un santo peccatore, che il Signore ha scelto per guidare il suo popolo, come lei stessa ammette, un santo che si è convertito dopo l’incontro decisivo con il Signore Gesù, «il Figlio incarnato e crocifisso di Dio»4. È dunque ancora più indubbio che tra i due santi, «maestri dell’interiorità» (e non per caso entrambi dottori della Chiesa) potessero esserci, con tutte le dovute distinzioni, affinità e richiami di esperienza e di messaggio.
Per concludere, suggeriamo un punto in comune, uno solo, ma centrale. Nelle Confessioni e nella Vita c’è, oltre agli evidenti Agostino e Teresa, un’importante protagonista non troppo nascosta, ovvero la misericordia di Dio, che trova in tali opere massima espressione e grande onore. Se Teresa, infatti, scrive con l’intento di «far conoscere la misericordia di Dio» (Vita 8, 4), anche Agostino non è da meno e comincia il libro ottavo, quello cioè della conversione, proprio con queste parole: «Dio mio, fa’ ch’io ricordi per ringraziarti e ch’io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi» (Conf. 8, 1, 1).
_____________________________
NOTE:
[1] «E tu, Signore, mentre parlava (sc. Ponticiano), mi facevi ripiegare su me stesso, togliendomi da dietro al mio dorso, ove mi ero rifugiato per non guardarmi, e ponendomi davanti alla mia faccia, affinché vedessi quanto era deforme, quanto storpio e sordido, coperto di macchie e di piaghe. Visione orrida; ma dove fuggire lontano da me stesso? Se tentavo di distogliere lo sguardo da me stesso, c’era Ponticiano, che continuava, continuava il suo racconto, e c’eri tu, che mi mettevi nuovamente di fronte a me stesso e mi ficcavi nei miei occhi, affinché scoprissi e odiassi la mia malvagità. (…) Così mi rodevo in cuore e mi sentivo violentemente turbare da un’orrenda vergogna al racconto di Ponticiano» (Conf. 8, 7, 16; 18).
[2] Salmi 6, 4 e 78, 5, 8.
[3] Romani 13, 13ss.
[4] Agostino d’Ippona, in Antonio Sicari, Il quinto libro dei Ritratti dei Santi, p. 24.