di P. Marco Secchi ocd
Si è da poco conclusa la visita del Papa in Romania. A 20 esatti dalla storica venuta di S. Giovanni Paolo II anche Papa Francesco è giunto in questa terra. Il programma, dal 31 maggio al 2 giugno, è intensissimo: tre giorni di incontri e spostamenti, il tutto nella primavera più piovosa e instabile che si ricordi negli ultimi anni.
Si comincia venerdì a Bucarest: accoglienza all’aereoporto alle 11.00, via verso Palazzo Cotroceni per l’incontro con le autorità, poi al Palazzo della Patriarchia per l’incontro con il Sinodo della Chiesa Ortodossa, in seguito Preghiera del Padre Nostro nella nuova Cattedrale Ortodossa insieme al Patriarca Daniel e per finire celebrazione della Santa Messa nella Cattedrale Cattolica. Il sabato, viaggio al Santuario Mariano di Sumuleu Ciuc per la celebrazione eucaristica e poi nel pomeriggio subito a Iasi, capoluogo della regione moldava, dove incontra le famiglie e i giovani. Rientra la sera a Bucarest per ripartire domenica mattina per Blaj, dove, nella Santa Messa, proclama beati sette vescovi martiri della Chiesa greco-cattolica e nel pomeriggio incontra la comunità rom. Visto il programma particolarmente ricco e le distanze, gli spostamenti sono pensati per via aerea, ma le piogge torrenziali e i temporali non permettono sempre l’uso dell’elicottero ed ecco che il Papa attraversa così in auto la terra rumena.
Perchè tutto questo elenco? Lo scrivo per ricordare la prima volontà di Papa Francesco: incontrare tutti. Se venite in Romania esiste il rischio, soprattutto per noi occidentali, di essere molto colpiti dalle divisioni: tra chi parte e chi resta (ultimamente si calcolano circa 300.000 rumeni all’anno che scelgono di vivere all’estero), tra rumeni e zingari (guai confonderli: per un rumeno è un’offesa terribile), tra rumeni e ungheresi (presenti numerosi specialmente in Transilvania), tra cristiani (soprattutto ortodossi, greco-cattolici e cattolici). Cinquant’anni di regime comunista hanno poi inasprito molte di queste ferite che ancora oggi non sono guarite. C’è chi sceglie volutamente come soluzione la via dell’indifferenza e dell’ignoranza, difendendo a spada tratta il proprio interesse parziale e ignorando il proprio vicino.
Questo atteggiamento porta a volte a situazioni paradossali. Permettetemi qui di ricordare un piccolo incontro avuto con un monaco ortodosso in visita al nostro convento. Dopo un’oretta di dialogo franco e sincero, un po’ titubante mi chiede il permesso di porgermi una domanda delicata, libero di rispondere o meno: E’ difficile obbedire al Papa? No! – rispondo, ma la domanda mi ha incuriosito e chiedo spiegazioni. E che sorpresa scoprire che il mio interlocutore, maestro dei novizi di una comunità di circa 80 monaci, uomo di preghiera e spiritualità, è assolutamente convinto che io ogni mattina riceva una telefonata dal Papa con l’ordine del giorno: Messe, confessioni, prediche, orari, gruppi di pellegrini da accogliere, lavori in orto da fare, a chi destinare uova, verdure e miele prodotti … La sua comprensione del primato papale è paradossale, al limite del comico se mi permettete, eppure vi posso testimoniare che fraintendimenti simili, o peggiori, sono molto comuni qui proprio a causa delle divisioni e della reciproca non-conoscenza.
Papa Francesco non cade nella trappola: da Buon Pastore sceglie di andare in cerca delle sue pecore lì dove sono, nei loro luoghi più cari e significativi, per incontrarle. È questa credo la sua prima grande testimonianza: il Papa in persona viene a visitarci!
Colpiscono molto perciò, in un contesto così intricato e delicato, il coraggio e l’umiltà del Pontefice di indicare la via: è il tempo di camminare insieme per riscoprire e risvegliare la fraternità che già ci unisce. E questo è già unità! Sono le parole decise rivolte da subito all’incontro col Sinodo della Chiesa Ortodossa. Basta con il continuo ricordo delle ingiustizie, dei pregiudizi; avanti con la memoria delle nostre radici comuni nell’ascolto del Signore Risorto. A Sumuleu Ciuc, di fronte a chi vorrebbe un’autonomia politica totale o addirittura un ritorno al passato ungherese, Papa Francesco chiede umilmente la capacità di guardare avanti, perchè camminare insieme, essere pellegrini, significa partecipare a quella marea un po’ caotica che si può trasformare in una vera esperienza di fraternità, una carovana sempre solidale per costruire la storia, senza perderci guardando solamente a quello che avrebbe potuto essere e non è stato, ma soprattutto a quello che ci aspetta e che non possiamo rimandare. Una missione difficile certo – riconosce il Papa – che richiede un lavoro e una pazienza da artigiano per tessere il futuro insieme. E a Blaj, davanti a un’assemblea che ricorda bene le sofferenze patite sotto il regime, non teme di parlare di misericordia, citando le parole del beato vescovo Iuliu Hossu pronunciate durante la prigionia: Dio ci ha mandati in questa notte della sofferenza per perdonare e per pregare per la conversione di tutti.
È ancora presto per tracciare un bilancio della visita. Si stanno scatenando in questi giorni i vari commenti all’evento, in generale più che positivi. Non siamo certo così ingenui da pensare che tutto sia risolto, ma ammiriamo e accogliamo il coraggio del Papa di credere, di sperare, di camminare. L’ecumenismo non è arrivare alla fine della partita, della discussione. L’ecumenismo si fa camminando insieme, pregando insieme (intervista sul volo di ritorno a Roma).
Terminiamo ricordando un proverbio africano che al Papa piace molto citare: Se vuoi andare veloce, cammina da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina con gli altri (Christus vivit 167).