di P. Giacomo Gubert ocd
Antonio Gramsci, Katherine Mansfield, Santa Teresa del Bambino Gesù
Traggo dall’oblio, per sorprendente scoperta, un affascinante libretto pubblicato nel 1952 in Roma dalle “Figlie della Chiesa” che celarono l’autrice con lo pseudonimo di “Diotima”. “Un eroe – una scrittrice – una santa”, scrive l’autrice, accomunati da “un prepotente senso dell’amore”.
La ribellione e l’amore
“Antonio Gramsci (1891-1937) rivolge questo amore agli essere umani, lo limita agli affetti, ai bisogni della terra”. Katherine Mansfield (1888-1923) “sente Dio, lo cerca, vuole trovarlo, e in questa ricerca muore senza aver trovato la risposta che le dia pace”.
“Anime inquiete, anime ribelli, che credono sia loro forza la ribellione, e impiegano tutta la volontà nel disperato sforzo di ribellarsi, giudicando vile la sommissione religiosa, e non intendono quanta volontà e quanto coraggio, fondati sull’Amore, occorrono per mettersi con piena fiducia e perfetto abbandono nelle mani della Provvidenza divina”.
“Quando si riesce a sentire come l’atteggiamento di ribellione è contrario all’Amore, tutto si ricompone nella sovrumana calma dell’eterno infinito”, come la notte del Gethsemani testimonia.
Diotima accosta queste le due figure menzionate a Teresa nella sicura fiducia di corrispondere ad un forte desiderio, terreno e celeste, della Santa di Lisieux: “ella che per i peccatori ha tanto pregato, guarderà con occhio benigno alla loro miseria e, come ha promesso, continuerà a pregare per loro”.
Trarrò tutto a me
Un accostamento insolito dunque che non solo illumina, per contrasto, l’esperienza umana e divina di santa Teresa, ma che corrisponde ad un movimento della sua persona, ora celeste (mangiare alla tavola dei peccatori il pane dell’amarezza), verso questi fratelli e sorelle tanto disgraziati.
Movimento a cui l’autrice, “piccola anima”, vuole partecipare: “Sentiamo che l’apostolato di Teresa può essere anche il nostro; noi, le piccole anime, possiamo pregare per la salvezza delle altre e per i sacerdoti, pregare perché nessun’anima si perda, pregare perché nessun sacerdote di Cristo abbia mai altro che parole d’Amore, sentimenti d’Amore, che mai mai un rancore, un risentimento spiri da loro, ma in tutti sia riconoscibile il suggello di quella Carità che è il segno di Gesù”.
Questo stesso tema ricorre nella nota di raccomandazione del “sac. Pietro Pavan” (allora docente alla Università Lateranense di cui sarà in seguito rettore; nel 1985 fu creato cardinale) che scrive: “Si ritiene che il libro possa fare del bene. L’incontro con Teresa del Bambin Gesù può dissipare pregiudizi ed errori. Del resto ciò corrisponde alla vocazione specifica della Santa: dischiudere Gesù alle anime che lo ignorano e lo combattono”. Pavan conclude con un’osservazione, mutatis mutandis, molto attuale: “Non è mai da dimenticare che oggi un problema di apostolato, tra i più urgenti e più difficili a risolversi, è: come insinuarsi negli animi legati al comunismo, resistenti e chiusi ad ogni azione apostolica più di quanto non lo siano le nazioni poste al di là della Cortina di Ferro? Il libro vuol tentare una via per entrare in quegli animi”.
L’emottisi
Dei tre, come è noto, solo Gramsci fu realmente prigioniero. Mansfield lo fu della sua malattia, la tisi e le sue “montagne incantate”; Teresa è “prigioniera volontaria dell’amore”, di Dio, in quel Carmelo benedetto. Diotima tuttavia pensa ad altre prigionie. Scrive: “Ho scelto questi tre esemplari perché si staccano e si innalzano, ognuno a suo modo, ognuno secondo le sue possibilità, della massa degli uomini, per arrivare ad altezze difficilmente raggiungibili, le altezze che raggiungono gli eroi e i santi, ed è sottinteso che a un certo punto poesia e santità s’identificano. Alle soglie della vita essi trovano il dolore, compagno indivisibile che li seguirà fino alla morte. Osservando le reazioni che queste tre creature pur così diverse hanno di fronte alla natura, alla malattia e alle varie cause che li fanno prigionieri, balzano vive le analogie che le fanno in certo modo simili, perché l’origine è una, anche in colui che nega Dio: il soffio che anima ogni creatura vivente tra origine solo da Lui”. Nella ricerca del Destino e dell’Origine, misteriosi e comuni, l’autrice legge ciò che “i tre prigionieri” scrivono nelle loro lettere, senza farsi distrarre dalla malsana curiosità, oggi tanto corrente, di “frugare nelle vite umane in quel che hanno di più caduco e men bello”. La sua esplorazione, ben lungi dal risolvere, non rimane per questo infruttuosa.
Amatevi gli uni gli altri
Gramsci impressiona Diotima per il suo assoluto ateismo. “Speranza desolata”, scrive; e prosegue cercando con la fede Gesù Cristo tra tante negazioni: “Quel Dio che egli [Gramsci] con tanta tenacia si ostina a negare, quel Dio è nel suo cuore: chi gli ha messo in cuore quell’amore per gli uomini, per tutti gli uomini? Non è il comandamento nuovo di Gesù? Ne scrive al figlioletto Delio, ed è l’ultima lettera del volume, quasi testamento spirituale: «Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa». Belle, immense parole che sembrano guardare al di là del presente verso le generazioni future, eppure sempre questo senso del finito chiude tutto nell’angusto limite del tempo e dello spazio. Sembrano un’eco dell’Amatevi gli uni gli altri di Gesù, e lui si ostina a negarlo, e quando un attacco del male gli fa presagire la morte, pur nel delirio, lo nega, e non si avvede che l’ombra del Cristo è lì dietro lui, sulla Croce, com’egli sta sulla propria: il Cristo tutto accettando dal Padre, egli tutto rifiutando”.
Ma a chi?
Le perle più belle Diotima le trova in Katherine Mansfield. Eccone tre: “La mia segreta fede, il credo interiore per il quale io vivo è questo: che sebbene la vita sia odiosamente brutta e la gente troppo spesso abbietta e malvagia e crudele, tuttavia c’è qualche cosa dietro tutto ciò, che se io fossi abbastanza grande per intenderla, renderebbe ogni cosa indicibilmente bella. Se ne hanno come dei baleni, e divini avvertimenti, e segni”. “Ho bisogno di sentire che questa bellezza è profondissimamente attaccata alla vita! La vera vita! Infatti devo confessare che ciò che mi affascina nella carne è lo spirito ...”. “Ho finito adesso il mio nuovo libro. Ho deposto la penna dopo aver scritto: Sia ringraziato Dio. Vorrei che ci fosse un Dio. Anelo di lodarlo, di ringraziarlo”.
Il cuore di Teresa
Concludiamo con il canto d’amore di Teresa, che s’innalza tanto più forte e intenso quanto più ella si accosta, ed è accostata, ad anime così desolate: “Santa Teresa [d’Avila] diceva alle sue figlie quando volevano pregare per lei: «Ma che m'importa di restare fino alla fine del mondo in purgatorio, se con le mie preghiere salvo anche una sola anima?». Queste parole trovano un'eco nel mio cuore: io vorrei salvare anime e dimenticarmi per loro; ne vorrei salvare anche dopo la mia morte; pertanto sarei felice che lei faccia allora, al posto della preghiera che lei fa adesso e che sarà ormai per sempre realizzata, questa: «Mio Dio, permettete alla mia sorella di continuare a farvi amare». Se Gesù l'esaudirà, saprò davvero testimoniarle la mia riconoscenza...” (LT 221).