di P. Claudio Grassi ocd

Meditazione carmelitana sulla III Domenica d'Avvento dell'anno C (Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18)

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La gioia di Dio

I soldati, i pubblicani, le folle intere si rivolgevano a Giovanni il Battista, venivano a lui perché sapeva leggere il loro cuore, sapeva far emergere il loro bisogno più profondo e accendere un desiderio, un’inquietudine buona; e dopo averlo ascoltato chiedevano una sola cosa: “Che cosa dobbiamo fare?” o, detto in altri termini “Aiutaci a cambiare!” La domanda di cambiamento infatti, quello vero, oggi come allora, emerge sempre dall’intuizione di una speranza che si accende, una gioia preannunciata e in qualche modo già pregustata. È la Domenica Gaudete, domenica della gioia in Dio. 

Da dove nasce e in cosa consiste la gioia cristiana? Gioia, questa parola che sembra non trovare più posto nell’esistenza umana; contrabbandata tutt’al più con l’esperienza del divertimento (che ha comunque il tempo contato); riconosciuta quasi sempre come una vana illusione, è prima di ogni altra cosa una dimensione che Dio stesso conosce. Dio è contento di averci creato; fin dal primo istante “vide che era cosa molto buona”. Ecco la radice della gioia cristiana: Dio è contento dell’uomo; è contento di me. Mi ha fatto Lui, conosce fino in fondo il mio cuore, le mie possibilità non gli sono nascoste. La gioia cristiana è prima di tutto dunque gioia di Dio per l’uomo, per me.  Nemmeno la caduta di Adamo e Eva, il nostro peccato, ha cambiato questo sguardo di Dio.
Quella gioia di Dio è divenuta per la prima volta toccabile, sperimentabile quando, come racconta S. Giovanni della Croce nelle sue Romanze Trinitarie, alla nascita del Verbo Maria poté contemplare quel mirabile scambio: un Dio fatto bambino piange le lacrime dell’uomo e l’uomo prova in sé la gioia di Dio: “E la Madre quello scambio con stupore contemplava: l’uomo in cui la gioia splende, Dio che lacrime assapora. Son cose che all’uno e all’altro erano estranee fino allora”. C’è una altra gioia infinita che il Padre vive ogni volta che Suo Figlio conquista il cuore di un peccatore. Allora è come se rinascesse di nuovo davanti ai suoi occhi. Lo dice bene la prima lettura:  “Il Signore, tuo dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia". Il Padre esulta per l’uomo che ritrova la sua strada (“c’è più gioia in cielo per un peccatore pentito…”); grida di gioia dopo averlo rinnovato con il suo amore.
In un bellissimo passo de “L’Idiota” di Dostoevskij troviamo questo brano che riassume entrambe i tratti della gioia di Dio: gioia di averlo creato e di averlo redento. E’ il momento in cui il principe Myškin ricorda un suo incontro con una contadina che portava in braccio il suo bambino. Scrive:

Un giorno, mentre me ne tornavo in albergo, ho  incontrato una donna con un bambino al petto. Era una donna ancor giovane, e il bambino poteva avere sei settimane. Lei aveva notato che il bambino le aveva sorriso proprio allora per la prima volta dalla nascita. Mentre la osservo, vedo che improvvisamente si fa devotamente il segno della croce.
“Che cosa fai, brava donna?” le chiedo (io allora avevo l’abitudine di far domande a tutti). E lei mi fa: “Vedi, la gioia che prova una madre quando coglie il primo sorriso del suo bambino dev’essere proprio la stessa che prova Iddio ogni volta che, su dal cielo, vede un peccatore che gli rivolge una preghiera con tutto il suo cuore”.
Questo mi disse quella donna del popolo, e quasi con queste precise parole, e questo pensiero così profondo, così giusto ed autenticamente religioso, un pensiero in cui è contenuta tutta l’essenza del cristianesimo, e cioè tutta la concezione di Dio, come di un padre amoroso, di un Dio che si compiace dell’uomo, così come un padre si compiace e prova gioia per suo figlio, questa è appunto l’idea essenziale di Cristo!   

E noi cosa dobbiamo fare?                   

Davanti a tutto questo la reazione degli uomini non può che essere una domanda: ”Cosa dobbiamo fare?”; “Come incontrare e fare nostra questa gioia di Dio?”Non è la domanda scontata di chi vuole tagliare corto senza perdersi in spiegazioni teoriche e  nemmeno un’esclamazione piena di timore;  ma è l‘umile richiesta di chi ha appena intrapreso un cammino di conversione e trepidante vuole protendersi per muovere i primi passi. E Giovanni Battista risponde in maniera molto concreta mettendo subito in movimento le persone che ha davanti: perché l’amore si capisce solamente quando ci si mette in azione! 
Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.
È il primo passo: si comincia stando di fronte al bisogno dell’altro. E’ una legge della vita: prendersi cura dell’altro spalanca il cuore a riconoscere che il primo povero sei tu, il primo ad aver bisogno di essere salvato sei tu. La prima conversione prende avvio dal riconoscersi poveri. Sembra strano: ciò che potrebbe risultare più difficile (rompere la propria misura, ribaltare lo sguardo da se stessi all’altro) è esattamente quello che ci è chiesto da subito. Del resto il test per comprendere se la gioia che vivi è vera, è se sa muovere tutto: mente, cuore e braccia. E intanto il cuore si allarga e impara ad attendere! 
Ai pubblicani Giovanni chiede: “non esigete di più”.

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Nemmeno Dio ha preteso da te un cambiamento, perché questo può essere solo il libero e paziente frutto di una risposta d’amore. Esigere infatti è l’atteggiamento di chi non sa dare tempo, di chi non guarda alla persona ma al risultato! Quante volte ci accade e non solo verso gli altri! Quante pretese su di noi, quanta smania di dimostrare a noi stessi che “siamo capaci” di fare tutto anche nel nostro lavoro di fede! S. Teresa d’Avila nelle quinte mansioni, proponendo l’immagine bellissima del baco da seta, a proposito di ciò che possiamo fare con le nostre forze dirà con tanta saggezza: “Certo che possiamo fare e disfare, ma non in Dio bensì in noi stessi, come fanno questi piccoli vermetti di cui abbiamo parlato. E noi non avremo ancora ultimato di fare quel poco che è in nostro potere, che Egli giungerà: prenderà il nostro lavoruccio da niente (“este trabajillo que non es nada”) e lo unirà alla Sua grandezza. E gli conferirà tanto valore che vorrà essere Lui stesso il premio dell’opera compiuta".
E allora comincia a riconoscere dove sta la tua pretesa, dove sta la misura che imponi come un giogo a te stesso e agli altri e sarai aperto alla misura “piena e traboccante” di Dio. Questa è l’opera di Giovanni: si serve di quella capacità che l’uomo ha di amare inscritta nella sua natura, fa leva su quel desiderio incancellabile di giustizia che porta inscritto nel suo animo; lo mette in azione; ammorbidisce e prepara il suo cuore, lo rende amabile, incontrabile dal Figlio di Dio. 
Giovanni il Battista prepara, ma verrà un altro a compiere tutto!
Giovanni attira a sé i pubblicani ma presto verrà Gesù e prenderà un pubblicano, un peccatore, Matteo e ne farà il suo discepolo ed evangelista.
Giovanni parla ai soldati e Gesù guarirà la figlia di un soldato obbediente alla misericordia del Padre e all’ultimo istante accoglierà la dichiarazione del centurione:  “Veramente quest’uomo è Figlio di Dio”, sintesi piena di stupore della fede in Gesù.