A cura della Redazione di Vies Consacrées (Vite consacrate)

Domande di Sr. Noëlle Hausman s.c.m.
Traduzione di P. G. B.

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Padre Stefano, tu fai parte della provincia dei Carmelitani di Venezia, presente in Belgio da trent’anni, per sostituire la comunità dei Carmelitani impegnati nel servizio della chiesa dei Carmelitani a Bruxelles. Cosa significa essere carmelitano oggi, in una piccola fraternità collocata al cuore di una capitale europea? Come trasmettere la ricchezza del patrimonio del Carmelo?

Per rispondere a questa domanda mi servo di una o due immagini. La prima, la porto in me da quando sono arrivato qui e che ho condiviso alla prima riunione della nostra comunità.

È un’immagine mutuata dal film “Uomini di Dio”. I monaci stavano riflettendo sull’opportunità di partire, a causa degli attacchi degli integralisti islamici contro gli stranieri; uno dei fratelli, parlando con gli amici di una famiglia musulmana, disse: “Noi siamo come uccelli migratori, su un ramo; possiamo lasciare questo ramo e andare a posarci altrove”. Ma una donna, presente nella stanza accanto, gli rispose: “No, voi siete il ramo e noi (islamici moderati) siamo gli uccelli: se voi ve ne andate, noi dove potremo posarci?” Questa immagine mi ha colpito, e mi ha accompagnato quando sono tornato una seconda volta a Bruxelles. Qual è il senso della presenza della nostra piccola comunità? Forse siamo il ramo dove molte persone possono venire a posarsi per un po’ di tempo, o per un periodo più lungo; come spiega bene la parabola evangelica del granello di senape qui crescendo diventa albero, capace di ospitare gli uccelli del cielo (Mt 13,32)
La seconda immagine est più recente; mi è stata donata dal Sinodo in corso. È l’immagine della tenda, come dice Isaia 54,2: “Allarga lo spazio della tua tenda”; con tutto ciò che questo implica. Fra l’altro, il tabernacolo della nostra chiesa è a forma di tenda. Bene, il tabernacolo è laa tenda: la presenza del Signore -per il quale vive la nostra comunità carmelitana- deve allargarsi per accogliere tutti coloro che frequentano la nostra chiesa; e deve allargarsi anche a quelli che stanno fuori della nostra chiesa. Un amico ci ha detto: “Amo questa chiesa, l’ho scelta perché qui da voi, i poveri (clochards) parlano con i fedeli. Non sono un altro mondo”. Questo significa, per me, allargare la tenda.

Tu, Stefano, sotto sotto sei un Bruxellese, avendo fatto gli studi di teologia qui a Bruxelles; arrivavi da un periodo passato in Madagascar, poi sei stato Maestro di Noviziato in Italia, poi Priore in Romania, infine di nuovo a Bruxelles. È un background di lingue e di frequentazione dei poveri che vi permette di essere molto accoglienti nella vostra chiesa; si tratta di un aspetto caratteristico dei Carmelitani?

Prima di rientrare a Bruxelles avevo chiesto di andare in Colombia, per condividere un nuovo percorso spirituale iniziato da un frate carmelitano: Padre Josè Arcesio Escobar. Ha dato inizio, con amici laici, a Las Città di Dio, dove propone di vivere il carisma di Teresa D’Avila: incontro con Dio nella preghiera, dal cui discendono delle conseguenze vincolanti (Pregare, amare, operare). Se si incontra Dio nella preghiera, vuol dire che si sta vivendo l’amore di Dio nella fraternità, e che questo amore ci spinge verso coloro che più hanno bisogno di conoscerlo. In queste Città di Dio accoglie i poveri, attento ai bisogni di ogni persona, alle situazioni vitali di ciascuno. Ha fondato una ventina di Città di Dio. Io ho potuto conoscere e condividere almeno un po’ questa storia e resta viva l’amicizia con P. Arcesio. Quando sono stato inviato a Bruxelles mi sono detto: “Bruxelles è la mia Colombia. Quello che avrei voluto fare là, devo capire come viverlo qua”. Anche il tempo passato in Romania mi è stato di aiuto; ho collaborato con i fratelli Missionari della Carità di Madre Teresa di Calcutta. Ci chiamavano anche a celebrare la Messa da loro, per tutti i poveri che vivevano per strada. Si impara molto dall’incontro con i poveri.

Eppure, una volta, la chiesa dei carmelitani era la chiesa della nobiltà, della Corte. Si nota una certa differenza con quello che state facendo voi.

È vero. È un cammino che bisogna percorre, il cammino della sinodalità. Questo permette di capire come il Carmelo deve rispondere oggi alle esigenze suscitate dello Spirito. Fa parte della storia carmelitana saper evolvere restando fedeli al dono originario. Il Carmelo è simile alle comunità deuteronomiche, che sono all’origine della redazione biblica; quando rileggevano gli antichi oracoli dei Profeti – per noi si tratta di rileggere il Profeta Elia – dovevano comprenderli e attualizzarli n nuovi contesti. Basti pensare quanto il Carmelo ha saputo evolvere: dall’eremitismo su Monte Carmelo, all’impatto con la Chiesa e la società Occidentale. Quando siamo arrivati in Europa, noi abbiamo dovuto assumere la forma degli ordini mendicanti, allora fiorenti. In seguito, con Teresa D’Avila, nel XVI secolo, il carisma si sposta sul versante femminile, della spiritualità sponsale, fino ad arrivare a altre grandi figure carmelitane: Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Edith Stein. Una delle caratteristiche del carisma carmelitano è di essere “secondario”, come si esprime Rémi Brague a proposito dell’identità europea. Infatti, il Carmelo nasce in Oriente, ma questo monachesimo, attraverso dei monaci latini, si sviluppa in Occidente. Il Carmelo, si potrebbe dire, ha la sua origine “fuori di sé”. Per questo, il nostro carisma deve lasciarsi provocare dal contesto nel quale si incarna; anche qui a Bruxelles. Faccio un esempio. Quando sono venuto a Bruxelles la prima volta -1996-2005- non i sono reso conto che nel nostro bel quartiere ci sono persone che dormono per strada; quando sono ritornato, li ho visti e mi sono chiesto: “Come la nostra presenza deve avvicinarsi a loro?”.

Vuol dire che voi accogliete dei senza tetto nella vostra chiesa?

Risposta - Sì, noi accogliamo qualche persona. Ma, il gesto più significativa, secondo me, è una cosa cominciata quasi per caso, seguendo l’esempio dei Missionari della Carità; si tratta della distribuzione della minestra calda, una volta alla settimana, in giro per le strade del nostro quartiere, aiutati da alcuni nostri amici laici. La zuppa è generalmente molto apprezzata, non solo perché è un vero minestrone all’italiana, ma soprattutto perché è l’occasione per instaurare e coltivare relazioni di amicizia e di fraternità.

Tu sei Priore a Bruxelles ma appartieni alla Provincia Veneta dei Carmelitani; questa doppia collocazione, che commento ti suggerisce, a proposito del riemergere della questione degli abusi di ogni genere nella Chiesa e nella vita Consacrata?

Mi servo di un’altra immagine tratta dalla tradizione carmelitana; quella delle api, che andando da un fiore all’altro realizzano l’impollinazione. Allo stesso modo, io credo che noi portiamo con noi il polline dei carmelitani di Venezia nella pastorale che noi svolgiamo a Bruxelles e, contemporaneamente, portiamo nella nostra Provincia veneta il polline della Chiesa Belga. Questo sta a fondamento di una vera fecondità spirituale e culturale. Per ciò che riguarda il tema degli abusi nell’ambito dell’esercizio dell’autorità, credo che è necessario ripensare, o quasi reinventare, la fedeltà alla tradizione. L’obbedienza è parte essenziale della vita monastica, della vita religiosa e della vita consacrata; per questo, io credo che l’esercizio dell’autorità richiede una conversione. Una conversione che, però, non riguarda solo chi è chiamata a svolgere il servizio della autorità, ma anche tutta la comunità, per un discernimento autentico della volontà di Dio. È importante la vigilanza continua. Recentemente sono stato chiamato a “vistare” un istituto religioso, e qualcuno dell’Istituto ni ha detto: “Ho fiducia in te, perché tu hai la grazia di stato”. In effetti, il servizio che stavo svolgendo dava segnali positivi; ma ho percepito immediatamente il rischio di equivocare quella affermazione; io non posso sentirmi al sicuro, per il solo fatto che altri mi riconoscono la grazia di stato. Mi sono detto: “Devo, di volta in volta, valutare le mie convinzioni e decisioni”. È necessario ricordare che la grazia di stato non è automaticamente una grazia abituale.

Pare che nel vostro quartiere state realizzando una comunità energetica; la spiritualità carmelitana può dare profondità a una ecologia integrale di cui tanto si parla, nella linea di Papa Francesco?

Purtroppo, non se parla ancora abbastanza! La spiritualità carmelitana ha una parola importante da dire a proposito della ecologia integrale. Alla fine di Laudato si’, il Papa evoca due elementi: l’educazione e la spiritualità, come sorgente di ragioni motivanti una ecologia coraggiosa. Ricordo che la parola Carmelo, in ebraico, significa Giardino: è una evocazione importante dal punto di vista della cura del creato. Per il Papa, l’ecologia integrale non è un dossier tra gli altri, ma descrive il modo di abitare la realtà, un atteggiamento qui concerne tutte le dimensioni della esistenza umana. Prendo ad esempio il nostro Profeta Elia (per noi carmelitani Elia è un riferimento fondativo); potremmo dire che è stato un emigrante climatico; a causa del clima (il cielo chiuso per tre anni) ha lasciato la Samaria per andare a Zarepta, e poi, in seguito a Kerit. Ma è interessante vedere come Elia pone la questione climatica dal punto di vista culturale religioso. Nella cultura dell’Alleanza yahwista, la terra è un dono di Dio, di cui siamo responsabili. Nella mentalità di potere dei Baal, la terra è un possesso da sfruttare. Il Re Achab, su istigazione della Regina Gezabele, fa uccidere ingiustamente Naboth, per impossessarsi della sua vigna, sua eredità del dono di Terra Promessa. C’è molto di Gezabele nell’atteggiamento dell’attuale paradigma tecnocratico. Invece, custodire l’Alleanza con Dio è, al tempo stesso, avere cura del dono della terra.

Cosa pensate di fare nel vostro quartiere, a proposito della comunità energetica?

Il progetto è di installare da noi dei pannelli fotovoltaici, per la produzione di energia elettrica. Noi abbiamo tetti molto ampi e consumo relativamente ridotto. Perché non condividere con altri? È una condivisione ecologica, che permette di creare legami nel quartiere. Inoltre, il nostro quartiere è un microcosmo ecumenico: ci sono i nostri vicini confinanti Anglicani, e due chiese Ortodosse. Chissà, può nascere un en ecumenismo ecologico! Per ora sia al progetto e ai primi dialoghi.

Come frati Carmelitani, che rapporto avete con le Monache Carmelitane di Bruxelles e del Belgio?

Sono rapporti di fraternità. Sembra evidente e banale; in realtà, il dato tradizionale poneva spesso i frati in una postura piuttosto di “paternità” verso le consorelle carmelitane: predicare, accompagnare, confessare, ecc. Quello che stiamo vivendo è un rapporto di fraternità, di complementarietà; ciò non impedisce di continuare a offrire il servizio che ci viene richiesto. Si pensa anche a una possibile collaborazione. Il prossimo anno, per volontà del Papa anno della preghiera in preparazione del Giubileo del 2025, vorremmo proporre una scuola di preghiera, secondo il metodo del Padre Caffarel, nel monastero delle Carmelitane di Bruxelles.

Abbiamo appena terminato a Bruxelles la quindicina teresiana, per il 150° anniversario della nascita di Santa Teresa di Lisieux. Questi gesti di pietà popolare, cosa possono offrire alle sfide di una cristianità senescente e impoverita in Belgio e in Europa?

La risposta è facile, visto che il Papa ha voluto pubblicare una lettera apostolica su Santa Teresa di Lisieux. La parola che più mi ha colpito è “aria fresca”. Il Papa definisce il messaggio e la vita di Teresa “aria fresca” per la Chiesa e per il mondo è questa l’esperienza che tanta gente ha vissuto durante questa quindicina teresiana: l’esperienza dell’incontro con una sorella, un’amica, una guida. Nella lettera apostolica il Papa fa vedere come la conversione missionaria e il ritorno all’essenziale del Vangelo proposto in Evangelii Gaudium, trovino in Teresa una delle sorgenti spirituali. Qualcuno ha detto che Teresina è come un cavallo di Troia che, attraverso uno stile familiare, un linguaggio semplicissimo e un po’ devozionale, ridice alla Chiesa un messaggio che la riconduce alla novità rivoluzionaria del Vangelo. Resta un cammino da fare.