(Articolo di Beatrice Branca, pubblicato sul Corriere del Trentino)

delfavaro

Don Angelo ha donato tutti i suoi averi al Centro di Aiuto alla Vita di Trento e sostiene mamme in difficoltà. Sulla scelta di lasciare il camice: «Sentivo una forte presenza di Dio in me, quasi paragonabile a una gravidanza»

Una vita dedita alla cura del prossimo. Prima del corpo come cardiologo e poi dell’anima come sacerdote carmelitano. Padre Angelo Del Favero ha 75 anni e ha già vissuto due vite. Negli anni Ottanta ha infatti detto addio alla sua vita da medico e rotto il suo fidanzamento per donarsi completamente a Dio. Figlio dell’imprenditore Ito Del Favero, proprietario della ditta di costruzioni Codelfa, è sempre stato, come si definisce lui stesso, «un ragazzo dall’indole religiosa».

Quando esercitava ancora la professione di cardiologo ha co-fondato nel 1978 uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. Realtà a cui ha poi donato tutti i suoi averi quando è diventato carmelitano, sostenendo così ancora oggi numerose mamme in difficoltà con i loro figli. È stato ordinato sacerdote nel 1991 e in questi 30 anni ha trascorso un periodo della sua vita anche nel carcere minorile di Treviso, aiutando i giovani a ricostruire il loro futuro. Oggi vive nel convento alle Laste vicino al Santuario della Madonna delle Grazie a Trento.

Da cardiologo a carmelitano. Don Angelo com’è arrivato a prendere questa decisione?
«La decisione è sorta mentre svolgevo il mio lavoro di medico. Guardando i volti tesi e ansiosi dei pazienti che visitavo ho riconosciuto in queste situazioni una chiamata più definitiva che risuonava dentro di me già da tempo e che mi invitava a dare tutto me stesso nel dono di Dio. In particolare è stata proprio parlando con una paziente che ho capito che era giunto il momento di appendere il camice, spogliarmi di tutti i miei averi e abbracciare il saio. Il Signore mi chiamava a una vita consacrata nel sacerdozio. La grande nevicata del 1985 è stata poi per me un ulteriore segno».

Lei ha avuto anche l’onore di conoscere Madre Teresa di Calcutta. Quanto è stato importante quell’incontro?
«Tantissimo. Mi trovavo 20 giorni a Calcutta nel 1980 ed ero ospite della congregazione maschile dei missionari della carità. Quella volta ero ancora un cardiologo. In quell’occasione ho incontrato tre volte Madre Teresa di Calcutta. Ci siamo solo salutati ma l’ho vista in azione e sono rimasto colpito dalla sua dedizione. Mi ha ispirato nell’aprirmi a una scelta simile di dono di me stesso e di carità a Dio che poi negli anni successivi si è trasformato nella chiamata vocazionale nel Carmelo».

Come mai ha scelto proprio quell’ordine?
«Come gli altri carmelitani sentivo una forte presenza di Dio in me, quasi paragonabile a una gravidanza, una vita che si muoveva dentro un’altra vita in perfetta comunicazione e simbiosi. Io mi sentivo così con il Signore».

Quanto è cambiata la sua vita da quel momento?
«Molto. Quando sono entrato nell’ordine carmelitano mi sentivo finalmente realizzato come uomo. Eppure prima avevo tutto. Ero ricco, ero un cardiologo e grazie al mio lavoro mi prendevo cura delle persone e giravo il mondo. Sono stato più volte in Sudamerica, in Africa e al congresso mondiale a Mosca nel 1982. Avevo pure una fidanzata ed ero in procinto di sposarmi ma mi mancava qualcosa, mi sentivo sotto pressione. Quando mi sono liberato di tutte le mie ricchezze donando me stesso a Dio ero davvero felice. La parte più dolorosa è stata rompere il fidanzamento, ma non potevo fare diversamente».

Si è mai pentito della sua scelta?
«No. Sono sempre stato fin da ragazzino una persona dall’indole religiosa, grazie al mio padre spirituale Pier Giorgio Piechele. Certo non posso nascondere di aver sofferto quando ho dovuto chiudere la mia relazione. Avevo conosciuto "la mia futura moglie" a Buenos Aires. Lei era una studentessa universitaria e aveva vinto una borsa di merito per studiare in Italia. Sembrava che il Signore ci avesse fatto incontrare per unirci in matrimonio, ma poi ho capito che i suoi piani non erano questi. Anche mio padre si era dispiaciuto. Voleva che mi sposassi ed era pronto a lasciarmi la sua impresa. Ma ci teneva di più a vedermi felice e alla fine ha accettato la mia scelta. Non sono stati momenti facili, ma la forza di Dio è stata più grande della sofferenza».

E di aver mollato la sua professione da cardiologo?
«Ero appassionatissimo del mio lavoro. Mi ero laureato a Bologna e negli anni ho sempre comprato tanti libri oltre a partecipare a numerose conferenze e congressi per aggiornarmi e curare al meglio i miei pazienti. Ma i piani del Signore erano altri e sono contento così».

La sua poliomielite come la vive?
«Credo che in qualche modo mi abbia favorito nel mio rapporto con Dio. L’ho sempre vista come una via particolare, una grazia personale. Ho accettato la mia situazione precaria dal punto di vista fisico, senza protestare, sempre contento».

Cosa ci racconta invece dei suoi trent’anni da carmelitano?
«Negli anni ho sempre nutrito il mio rapporto con il Signore con le letture e con la voce del mio padre spirituale. Quando ho abbracciato l’ordine ho lasciato tutti i miei averi al Centro Aiuto alla Vita che avevo co-fondato nel 1987. Non ho più viaggiato molto, se non andando a Brescia quando frequentavo il seminario e a Treviso nel carcere minorile, dove davo supporto ai giovani aiutandoli a ricostruire il loro futuro. Ho cercato di lanciare dei messaggi di speranza a partire dalla mia esperienza di vita, portandoli a trovare la giusta strada con l’aiuto della fede».